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domenica 18 dicembre 2016

Viaggiare nel tempo? Adesso è concepibile

tratto da L'Opinione del 14 ottobre 2016

Partiamo dalla relatività e, per provare a figurarcene gli effetti, pensiamo ad una vecchia pellicola cinematografica, di quelle di una volta, di celluloide, e immaginiamo di rallentare (o al contrario accelerare) il motore del proiettore durante la visione. Quello che accadrà sarà che il “tempo locale” del film proiettato non coinciderà più con il tempo della storia realizzata dal regista e noi potremmo alla fine ritrovarci ad aver trascorso tre ore, quando la sua durata sarebbe stata invece di un’ora sola. È solo una rappresentazione, abbiamo rallentato il film non la realtà, ma rende l’idea e aiuta a immaginare ciò che altrimenti è inimmaginabile, per noi che siamo sensorialmente e culturalmente del tutto impreparati all’idea. Grazie ad Albert Einstein, infatti, ormai sappiamo che il tempo è un fatto locale, relativo e cioè non un valore assoluto uguale ed immutabile ovunque - come abbiamo pensato per secoli - ma dipende in realtà dalla massa e dalla velocità del sistema di riferimento in cui viene misurato, cosicché, per esempio, viaggiando su di un razzo sufficientemente veloce per un tempo sufficientemente lungo, potremmo poi tornare sulla Terra e trovare i nipoti dei nostri nipoti e, magari, perfino più vecchi biologicamente di noi. E questa, anche se per ora sappiamo farlo solo con le particelle di cui allunghiamo la vita negli acceleratori, è già scienza dimostrata, passata in giudicato.

Fin qui Einstein. Ma ora immaginate di proiettare il film all’incontrario, facendo andare il motore del proiettore all’indietro. Ciò che succederà sarà che, nella visione, quello che nel film è il futuro diventerà il passato, il tempo locale sarà addirittura invertito, perché vediamo la pellicola dalla fine all’inizio. E questo è reso possibile da un fatto fondamentale: la persistenza delle immagini sulla striscia di celluloide, che non scompaiono durante una proiezione e sono sempre riproiettabili, il che vale a dire, in questa rappresentazione, la persistenza degli “attimi” di tempo. Il passato cioè non passa, non scompare e dunque potremmo ripercorrerlo. Se poi tagliamo uno o più fotogrammi o magari ne incolliamo di nuovi, avremo proprio cambiato la storia del film, a partire dal punto in cui interveniamo, e inoltre il film, modificato o no, possiamo riproiettarlo quante volte vogliamo ed in epoche successive. Questo, nei limiti della raffigurazione scelta, è quello che succede con la nuova teoria chiamata Open Quantum Relativity (OQR), perché in questa teoria emergono non una, ma due frecce del tempo: una, quella tradizionale, rivolta verso ciò che chiamiamo futuro ed un’altra rivolta verso quello che chiamiamo passato ed inoltre il passato non scompare.

Uscendo dal semplice modello puramente esplicativo, è chiaro che una teoria che preveda due frecce del tempo, anziché una sola, non può non avere ricadute enormi sulla concezione del tempo stesso e segnatamente sull’ipotesi dei viaggi nel tempo, che a questo punto non sarebbero più in effetti solo “ritardi temporali” come nella relatività. Né ipotesi di complicati artifici spazio-temporali inventati per inseguire un puro sogno, ma una tesi basata su di una realtà sottostante di portata generale, anche se sensorialmente a noi invisibile, che li renderebbe davvero concepibili. Ma perché questa teoria è nata e perché è nata oggi? Perché le scoperte di raffinate tecniche sperimentali e l’avanzare della fisica teorica hanno posto in evidenza delle contraddizioni, che non erano ipotizzabili prima. Ne citerò solo tre: il teletrasporto quantistico che permetterebbe di trasferire informazioni a qualunque distanza “istantaneamente” (il che vuol dire a velocità infinita, contraddicendo la relatività che vuole che la velocità della luce sia insuperabile), la scomparsa di massa-energia nei buchi neri (che contraddice le leggi di conservazione) e infine il paradosso di Einstein (sempre lui), Podolsky e Rosen, a partire proprio dal quale la nuova teoria ha preso le mosse. I tre scienziati, nel 1933, misero in evidenza come ci fosse una frattura insanabile fra quantomeccanica e relatività, perché, seguendo la meccanica quantistica nella formulazione di Bohr e della scuola di Copenhagen, l’assoluta contemporaneità degli effetti indotti da un oggetto su di un altro, quantisticamente correlato, si realizza a prescindere dalla loro distanza, arrivando a contraddire la relatività, che stabilisce l’impossibilità di avere conseguenze “istantanee” di una correlazione tra oggetti lontani tra loro e infine anche la logica, perché, data l’impossibilità della contemporaneità richiesta dalla quantomeccanica, si avrebbe in definitiva “la possibilità di interagire con un oggetto correlato senza... poter interagire realmente con esso”.

La contraddizione tra le due più grandi teorie fondamentali del secolo scorso, per di più entrambe confermate da moltissime osservazioni, rendeva impossibile procedere ad impostare il nuovo problema del tempo in un quadro di riferimento unitario e consistente. La Open Quantum Relativity riesce ad unificare le due teorie in un quadro comune e, a partire dall’unico principio assunto che le leggi di conservazione non possano essere mai violate (il che non è certo irragionevole), risulta, per deduzioni matematiche, essere una teoria simmetrica nella quale le evoluzioni del tempo, in avanti e all’indietro, sono entrambe permesse. E, se esiste una freccia temporale che va all’indietro, non dobbiamo più immaginare contorsioni logiche per ipotizzare una “macchina del tempo”, come si è fatto fino ad oggi, ma semplicemente partire da lì. Questa, se confermata, sarebbe la conseguenza di gran lunga più importante di una teoria generale, che comunque sembra impostata correttamente, sia perché è basata su di un solo postulato, da cui derivare tutti gli ulteriori sviluppi senza necessità di correzioni “poste a mano”, sia perché sono già molti i campi in cui questa teoria (sviluppata ormai da anni in decine di lavori, sulle principali riviste scientifiche dedicate) si dimostra coerente con i dati sperimentali e le più recenti osservazioni astrofisiche. Ad esempio la dinamica dei “buchi neri”, la curva di rotazione piatta delle galassie, il teletrasporto quantistico, i principali parametri cosmologici (come l’Età dell’universo).

Nel teletrasporto quantistico, per citare un caso, ci sono diversi gruppi sperimentali che hanno mostrato di aver scoperto che è possibile trasferire un’informazione istantaneamente e quindi violare la relatività. Se il fenomeno verrà ulteriormente confermato, lo si può spiegare senza violare la relatività, perché in Oqr non occorrerebbero trasformazioni superluminali, cioè più veloci della luce, ma a-luminali, che non implicano nessuna violazione del limite della velocità della luce. Per fare un esempio: ci vorrà un determinato tempo per andare da New York a Los Angeles, ma se immaginiamo una curvatura dello spazio-tempo (già prevista in relatività generale) tale da far combaciare le due città come se fossero i lembi di una carta geografica, lo spostamento sarebbe a-luminale, senza violare il limite della velocità finita della luce. La spiegazione in Oqr dei buchi neri è un altro elemento convincente, perché un buco nero si potrebbe considerare come una macchina del tempo naturale, che “buca” lo spazio-tempo e conduce in un’altra zona dello spazio-tempo stesso, dove fuoriesce come “fontana bianca”, sotto forma di emissioni ad altissima energia (i Gamma ray bursts) già osservate, ma finora non convincentemente spiegate. Ed è immediato che il principio di conservazione risulta rispettato, perché non si ipotizza più una massa-energia che “scompaia” nel buco nero.

È probabilmente più facile immaginare un viaggio nel tempo attraverso un buco nero, che attraverso una macchina del tempo artificiale. Tuttavia è vero il contrario a livello di ipotetica realizzazione, perché noi non possiamo portarci all’ingresso di un buco nero istantaneamente e, dunque, uno sarebbe schiacciato e ridotto a particelle dall’enorme forza di attrazione gravitazionale, prima di poter arrivare al buco nero stesso. Il meccanismo dell’ipotetica macchina del tempo, naturale o artificiale che sia, è però sempre lo stesso: la natura reagisce al tentativo di violare - in maniera non altrimenti evitabile - una legge di conservazione, cambiando la topologia dello spazio-tempo e consentendo così un teletrasporto istantaneo (il viaggio a-luminale di prima). Sarebbe questo il motore del fenomeno, quando la natura non ha altro modo di evitare una violazione, cambia la topologia, il che vuol dire, sempre per esemplificare, che se usiamo in una descrizione delle coordinate cilindriche, con una freccia a descrivere il tempo ed una circonferenza a descrivere lo spazio, dobbiamo invertirle descrivendo invece il tempo con la circonferenza. C’è un precedente illustre e divertente, risalente al 1947, quando un grande logico matematico austriaco, Kurt Gödel, si presentò, formale com’era, in abito da cerimonia (secondo la vulgata attribuibile al nobel indiano Chandrasekhar) a Princeton, nello studio di Einstein, trasandato invece come sempre, nel giorno in cui quest’ultimo compiva gli anni, portandogli come “regalo” una soluzione delle equazioni di campo einsteiniane, ma con una novità molto innovativa. La novità consisteva nel fatto che tali equazioni ammettevano soluzioni con linee temporali “circolari”, mentre fino ad allora si credevano possibili solo soluzioni con linee temporali longitudinali. Diveniva possibile, insomma, ripercorrere il tempo... percorrendo il cerchio. Era solo un elegante formalismo matematico, eppure c’era sotto qualcosa di profondo significato fisico, perché, nel momento in cui la Oqr, partendo da leggi fisiche, porta davvero alla situazione in cui è ammesso questo cambio di topologia, beh, allora il discorso ipotetico di Gödel, entra in un quadro teorico basato su una teoria dinamica. Il semplice formalismo diventa così, grazie all’Oqr, una legge fisica e apre la strada almeno alla concepibilità di una macchina del tempo.

E questo porta ad un’altra grande conseguenza e cioè che la teoria dei Many Worlds o Molti Universi, già nota, diviene necessaria. Questa teoria, esistente ormai da tempo, diviene necessaria perché, se dalle equazioni è possibile ipotizzare di andare indietro nel tempo, questo vuol dire interferire nello spazio-tempo stesso. Anche il semplice fatto di andarci con un oggetto che ti ci porta è una perturbazione, che conduce a dire che si è determinato un “altro universo”, perché l’universo che conosciamo, quello che si chiama “la nostra linea di mondo”, non è cambiato nel suo passato e non può cambiare, è sempre lo stesso. E allora, se davvero si può ritornare nel passato e modificarlo, portando una persona ad interferire in esso, ciò equivale a creare un’altra linea di mondo, uguale alla nostra fino all’interferenza, ma diversa successivamente. E si spiega bene con un esempio paradossale: se uno può andare indietro nel tempo ed uccidere la propria nonna prima della nascita del proprio padre, come può farlo se suo padre non era ancora nato e lui di conseguenza non esiste? Questo però non è più generalmente vero, se si ipotizzano gli universi paralleli, che diventano a questo punto una necessità, per permettere l’ipotesi di viaggi “perturbativi” nel passato (e mantenere valido il principio generale di conservazione). Uno torna indietro nel tempo, uccide la nonna e crea un universo parallelo uguale al nostro, in cui però non esistono né lui giovane né suo padre, ma c’è in più uno sconosciuto assassino. Potremmo forse vincere al totocalcio pre-conoscendo i risultati, ma in un “altro” mondo, un mondo del tutto familiare e praticamente uguale, ma da quel momento in poi differente.

Il viaggio nel tempo qui ipotizzato è diverso da come lo potevamo immaginare, ma questo è sempre successo nel passaggio dalle speculazioni intellettuali alle scoperte scientifiche, quando sognavamo di volare pensavamo di metterci piume sulle braccia e agitarle, poi abbiamo volato in tutt’altra maniera, con una macchina a combustione interna e con un apparato metallico. Però, anche se in un modo del tutto diverso da come ce l’eravamo immaginato, noi oggi davvero voliamo. Il viaggio nel tempo che risulterebbe da questa teoria non è quello che uno potrebbe pensare: cioè di poter interferire nella propria vita in questo mondo, però sarebbe lo stesso un viaggio nel tempo vero, perché si potrebbe, in ipotesi, tornare indietro e determinare una vita differente cambiandone i particolari, pur nello stesso quadro generale, nella stessa epoca e con le stesse persone, in un mondo insomma quasi del tutto simile e inoltre quante volte si vuole. Oppure cambiare la propria vita in epoche completamente diverse e, molto probabilmente, senza perdere autocoscienza. perché legati al tempo della macchina con cui si viaggia. È una teoria, certo, però attenzione il termine teoria in fisica ha un significato diverso che nel parlare comune; nella fisica una teoria non è una semplice ipotesi, ma una costruzione matematica che procede per dimostrazioni e fatta in modo da essere confermabile o smentibile dagli esperimenti, oltre che coerente con i dati sperimentali già esistenti e questo la Open Quantum Relativity lo è. Non è insomma una mera semplice ipotesi. E, d’altronde, la stessa relatività fu ritenuta vera, già ben prima che Enrico Fermi la dimostrasse definitivamente tale con la pila atomica. A conclusione, possiamo dire con assoluta certezza che potremmo viaggiare nel Tempo, modificando così radicalmente il modo di porci nell’universo ed il senso stesso della nostra vita? No, non possiamo, però possiamo dire che è concepibile, il che è già enorme.


domenica 20 marzo 2016

LA NUOVA ARCHEOLOGIA TEORICA - Sulle orme della Fisica Teorica

di Simone Scotto di Carlo (https://unina.academia.edu/SimoneScottoDiCarlo)

Il TAG (Theoretical Archaeology Group) è stato fondato in Gran Bretagna nel 1979 con l'obiettivo di promuovere il dibattito e la discussione delle questioni in archeologia teorica a livello internazionale: è definito come un luogo di esplorazione per la ricerca archeologica e innovativa.
Il TAG è gestito e guidato da un Comitato Nazionale, che si riunisce ogni anno e comprende un rappresentante di ciascuno dei dipartimenti universitari che hanno ospitato una conferenza TAG .
Nel 2015 la conferenza si è tenuta nell’Università di Bredford: dal sito dell’università si leggono gli argomenti che sono stati oggetto del dibattito dal 14/12 fino al 16/12; riporto l’elenco(1):
1) Lunedì 14 Dicembre:
- Artista e Archeologo;
- Le risorse archeologiche non sono finite e sono rinnovabili;
- Agende politiche e sponsorizzazioni in archeologia;
- Ripensare il concetto di spazio negli insediamenti;
2) Martedì 15 Dicembre:
- I pozzi e la diversità della pratica archeologica;
- Canticchiando con Crossfire - a corto di copertura;
- La diversità di età: dove sono i giovani in archeologia?
- Mobilità, monumentalità e la memoria in società del passato;
- Differenziazione sociale, personalità e la disuguaglianza nelle società preistoriche;
- La salute mentale in archeologia;
- Racconti tirannici? Fiction come metodo archeologico;
3) Mercoledì 16 Dicembre:
- Eterarchie o gerarchie? approcci critici alla diversità di organizzazione sociale;
- Sfumando i confini: prospettive interdisciplinari di archeologia;
- L'alloggiamento della forza lavoro
- Archivi come oggetti archeologici
- Ripensare la carta archeologica
- Advances in arte preistorica
- l'archeologia della filosofia elementare e principi umorali
- sulla necessità di una pluralità agente nella comprensione dei processi di formazione dell'identità e
cosmologie nelle comunità preistoriche
Nello stesso anno, dal 3 al 6 Luglio, si è svolta la quarta conferenza internazionale sulla Fisica Teorica, a Mosca;
riporto il breve elenco della conferenza:
- Fondamenti della meccanica quantistica
- Quantum Entanglement
- Teoria Quantistica compresi informazione quantistica (Quantum Computer, Crittografia Quantistica,
Teletrasporto di Quantum Uniti)
- Classical e Quantum gravitazione, cosmologia e astrofisica
- Fisica Generale
- Materia Condensata
- Ottica e Spettroscopia
- Fisica Nucleare
- Fisica Matematica
Da una rapida lettura dei programmi emerge l’impostazione differente delle due conferenze: la seconda (quella di Mosca) è proiettata verso l’ignoto (basta leggere la parola “teletrasporto” per capire di cosa si stia parlando), mentre la prima (il TAG) è incentrata su argomenti con scarso interesse per l’ignoto (basta leggere le parole “agende politiche” e “sponsorizzazione” per capire di cosa si stia parlando).
Da una conferenza come quella di Archeologia Teorica del TAG, ci si sarebbe aspettato un programma del genere:
- Puma Punku: analisi sulle reali possibilità degli Aymara di realizzare l’opera
- Gobekli Tepe: nuove ipotesi sulla realizzazione
- Allineamenti dei siti piramidali di Messico, Egitto e Cina: analisi sulle probabilità di coincidenza
- Magalitismo planetario: una teoria che spieghi il fenomeno in modo lineare ed esaustivo
- OOPart: dal meccanismo di Antikitera alla colonna di Ashoka, evoluzione delle spiegazioni ammissibili
- Malta: analisi sulle possibili spiegazioni ai binari incassati nella roccia
- I miti del diluvio: ipotesi sull’evento planetario possibile
Gli argomenti sopra elencati, sono solo una piccola parte del mondo poco esplorato della ricerca sulle origini della civiltà umana, eppure nella conferenza internazionale più importante sull’archeologia teorica, non vi è traccia di ricerca sulla materia “ignota”. L’impressione è che si preferisca navigare in acque tranquille e note, piuttosto che esplorare nuove mete.
Seguendo le orme della fisica teorica, invece, possiamo capire quale sia il metodo di ricerca per arrivare a trovare soluzioni che superino la nostra immaginazione e la capacità media della nostra mente di comprendere.
Il confronto appare subito difficile, perché la fisica teorica è oggi in pieno sviluppo ed in continuo fermento, tanto che in tutto il mondo si susseguono conferenze internazionali su tanti argomenti, a differenza dell’archeologia teorica che riesce a riunirsi una volta l’anno a livello internazionale e propone una serie di argomenti a mio avviso poco utili per approfondire i punti controversi della teoria classica sulle origini della civiltà umana.
Per brevità, facciamo riferimento ad una serie di conferenze in programma per il solo mese di Marzo 2016 riassunte sul sito conference-service.com (2) nell’ambito della Fisica teorica:


Come si nota, l’interesse per gli argomenti che spingono la mente a superare se stessa, sono predominanti.
Ma come si è arrivati ad adottare questo metodo di ricerca così innovativo ed efficace?

Esempio 1: “IPSE DIXIT”

Nel celebre scritto “Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, Galileo Galilei osò mettere in discussione il sistema aristotelico che dominava la storia del pensiero occidentale da decine di secoli e che ostruiva la strada allarivoluzione scientifica in atto, facendosi scudo col principio di autorità (“Ipse dixit !”).
Legato al caso Galilei c’era la necessità di dover abbattere il sistema geocentrico aristotelico-tolemaico che vedeva laTerra al centro dell’Universo; analizziamo brevemente il caso:




Immagine 1 dal sito: http://images.slideplayer.it/3/976161/slides/slide_3.jpg

1) SISTEMI PRE-COPERNICANI: l'idea che la rotazione degli astri potesse essere apparente e dovuta al
moto della Terra, era già stata avanzata nell'antichità da vari filosofi, secoli prima di Cristo; i primi furono i
pitagorici, ma il tentativo più autorevole fu fatto da Eraclide Pontico (385-322 a.C.) e successivamente
da Aristarco di Samo.
Aristotele e Tolomeo, presero in considerazione la teoria dell’eliocentrismo ma non la ritennero accettabile,
sulla base di considerazioni che, per le conoscenze scientifiche del tempo, erano difficilmente confutabili.
2) SISTEMA COPERNICANO: il polacco Niccolò Copernico (1473-1543) introdusse una nuova concezione del sistema cosmologico, passando da quello aristotelico-tolemaico geocentrico, a quello eliocentrico; lo scienziato definito “rivoluzionario prudente” acconsentì alla pubblicazione delle sue teorie, espresse nel "De Revolutionibus" (1543), solo in punto di morte.
Le caute teorie di Copernico, le osservazioni pratiche e il nuovo metodo d'indagine del Galilei, la nascente cultura scientifica generata da una straordinaria rivoluzione in questi termini, portarono a un radicale cambiamento nel tessuto connettivo culturale europeo tra XVI e XVII secolo, mutamenti che hanno indicato e tracciato profondamente la via per la definizione del mondo e della scienza moderni.”(Andrea Cozza)
3) TEMPO SPRECATO: a conti fatti, da Eraclide a Galileo, l’umanità ha sprecato circa 2000 anni di storia
assumendo il sistema Tolemaico-Aristotelico come “summa teoria” di interpretazione dell’universo e del
moto dell’universo. Proviamo solo ad immaginare se la rivoluzione scientifica di Galilei fosse avvenuta già
in antica Grecia: oggi, probabilmente, la nostra civiltà avrebbe 2000 anni di evoluzione scientifica e
tecnologica in più.
Questo importantissimo precedente storico, non può non farci riflettere sul fatto che la vera analisi scientifica non deve aggrapparsi ad una teoria in modo morboso. Lo scienziato deve essere pronto a sposare una nuova teoria se questa è capace di spiegare meglio e con meno contraddizioni il fenomeno studiato.
A tal proposito, è d’obbligo riportare la seguente citazione di K. R. Popper:
« Sentivo che era questo il vero atteggiamento scientifico. Era completamente differente dall'atteggiamento dogmatico, checontinuamente affermava di trovare "verificazioni" delle sue teorie preferite. Giunsi così, sul finire del 1919, alla conclusione che l'atteggiamento scientifico era l'atteggiamento critico, che non andava in cerca di verificazioni, bensì di controlli cruciali; controlli che avrebbero potuto confutare la teoria messa alla prova, pur non potendola mai confermare definitivamente. »

Esempio 2: “NON CAPISCO NULLA”

Il paradigma perfetto di “teoria rivoluzionaria” è dato, a mio avviso, dalla teoria della relatività generale di Einstein: agli inizi del ‘900, Einstein cambiò profondamente la teoria della relatività di stampo galileiano ed il concetto stesso di tempo e di spazio, portando la fisica oltre il limite allora immaginabile.
Basata su solide basi matematiche e fisiche, la teoria di Einstein non poteva all’epoca essere dimostrata,
sperimentalmente, ed ha dovuto attendere decenni per ottenere la prima conferma sperimentale. Ancora oggi si parla infatti di teoria della relatività e non di legge della relatività, a dimostrazione del fatto che non è stata ancora del tutto dimostrata inequivocabilmente (l’ultima conferma nel 2016 sulle onde gravitazionali probabilmente rappresenterà la spinta per il salto da teoria a legge).
Eppure, grazie a questa teoria “visionaria”, la fisica ha potuto osare e lanciarsi oltre i propri limiti e soprattutto superare le barriere mentali imposte dagli scienziati meno aperti alle novità.
A tal proposito lo stesso Einstein diceva:“I grandi spiriti hanno sempre incontrato l'opposizione violenta delle menti mediocri.” Se Einstein non avesse seguito le sue intuizioni e non si fosse dedicato alla sua teoria, la nostra comprensione del cosmo sarebbe limitata e ancorata alle prove di laboratorio. La teoria invece è arrivata là dove i sensi ed il pragmatismo non possono arrivare: come spiegare ad un pragmatico che possiamo viaggiare indietro nel tempo? Come fargli capire che spazio e tempo sono legati e possono essere alterati, distorti?
Ecco, i limiti dell’uomo “da laboratorio” fortunatamente non hanno fermato la ricerca teorica ed hanno permesso alla fisica di oltrepassare i limiti della mente umana.
Qual è invece l’atteggiamento che hanno l’archeologia moderna, la storiografia ufficiale e l’egittologia quando si discute di origini della civiltà umana?
L’analogia con aristotelici e tolemaici è lampante e dà una risposta netta:
1) Ritrosia verso le teorie diverse da quella ufficiale ( “Mesopotamia culla della civiltà” ad esempio);
2) Derisione e scetticismo verso coloro che osano mettere in dubbio l’architettura storica classica;
3) Respingimento, talvolta occultamento delle prove storiche ed archeologiche che smentiscono la teoria ufficiale;
4) Autoreferenzialità e corporativismo;
Questo atteggiamento diffuso e spesso dominante negli ambienti accademici, è un ricorso storico: egittologi ed archeologi difendono i padri fondatori delle loro teorie affidandosi al principio di autorità, proprio come hanno fatto aristotelici e tolemaici per secoli e secoli prima di loro.
Costoro, preferiscono affidarsi ad una teoria apparentemente lineare e capace di spiegare tutto, anche se centinaia di reperti archeologici, opere megalitiche, testimonianze storiche restano fuori dal loro sistema, affidate a spiegazioni lacunose, semplicistiche e talvolta ridicole.
Ecco che diventa fondamentale ristrutturare un metodo di ricerca che dia spazio e risalto alle nuove teorie sulle origini della civiltà, una nuova archeologia teorica che non teme di esplorare ipotesi ardue, ma anche “bizzare”, “assurde”, “ridicole” purchè restino coerenti come una vera teoria deve essere.
Il mondo accademico contemporaneo è imbrigliato dal cosiddetto “metodo scientifico”: un procedimento che parte dall’osservazione per verificare la correttezza delle previsioni.
Davanti ad un fenomeno di cui non si conosce la causa, il metodo prevede(4) di:
1) compiere osservazioni sistematiche;
2) formulare una domanda;
3) elaborare un’ipotesi che sia una possibile soluzione alla domanda;
4) trarre previsioni dall’ipotesi;
5) controllare la validità delle previsioni con ulteriori osservazioni o esperimenti.
Applichiamo ora il metodo ad esempio alla teoria della relatività generale, immedesimandoci nei panni di Einstein agli inizi del ‘900:
1) compiere osservazioni sistematiche: non era possibile fare osservazioni semplici a supporto della teoria
2) formulare una domanda: Einstein si domandò semplicemente cosa avrebbe visto attorno a se fosse riuscito
a correre veloce quanto un raggio di luce,
3) elaborare un’ipotesi: Einstein partì dalla fisica classica per sviluppare la sua nuova teoria
4) trarre previsioni dall’ipotesi: le previsioni di Einstein furono semplicemente inconcepibili per l’epoca
5) controllare la validità delle previsioni con osservazioni ed esperimenti: dopo un secolo dalla formulazione
della teoria, siamo ancora in cerca di conferme
Come si nota, un’applicazione rigorosa del metodo scientifico avrebbe tarpato le ali al pensiero di Einstein.
Ed in effetti la comunità scientifica dell’epoca non seppe cogliere la grandezza, la profondità e l’innovazione della teoria della relatività: il professore di fisica sperimentale Aimè Forster dell’Università di Berna così si espresse sul lavoro di Einstein “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimenti”: “Non capisco neppure una parola di quello che c’è scritto”. Era opinione infatti del corpo docente che la relatività fosse stata “rifiutata in modo più o meno chiaro dalla maggior parte dei fisici contemporanei”.
Eppure, la prima conferma sperimentale delle intuizioni di Einstein avvenuta nel 1919, trasformò Einstein in una celebrità : si tratta della deviazione della luce per azione della forza di gravità. Il 6 novembre 1919 la Società Astronomica Reale e la Royal Society a Londra certificarono che le predizioni della relatività generale erano corrette.

Esempio 3: “PURA FANTASCIENZA”

Legato alla teoria della relatività generale vi è un altro esempio che dovrebbe essere insegnato nelle università ditutto il mondo, ovvero la storia della formulazione teorica dei cosiddetti buchi neri:
L'esistenza dei buchi neri è una delle predizioni fondamentali della teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein nel 1915. La prima soluzione delle equazioni di Einstein che descrive un buco nero fu trovata dall'astronomo tedesco Karl Schwarzschild sempre nel 1915 e per molto tempo si pensò che non avesse significato fisico. Nel 1939, invece, Robert Oppenheimer e Hartland Snyder mostrarono con calcoli teorici che una nube di gas, contraendosi a causa dell'attrazione gravitazionale, forma un buco nero. Solo negli anni Sessanta le osservazioni astronomiche e gli studi teorici mostrarono che la vita di una stella di massa sufficientemente grande può culminare in una esplosione e nel successivo collasso della sua parte più interna.”





Sia Schwarzschild che Oppenheime e Snyder hanno dovuto subire la derisione di diversi colleghi che all’epoca, miopi , reputavano la loro formulazione sull’esistenza dei buchi neri come “pura fantascienza”.
Applichiamo anche per questa teoria il metodo di ricerca sperimentale:
1) compiere osservazioni sistematiche: non era possibile fare osservazioni sui buchi neri
2) formulare una domanda: può un corpo celeste avere una gravità tanto grande da intrappolare anche la
luce?,
3) elaborare un’ipotesi: il corpo celeste esiste e compare come una massa nera
4) trarre previsioni dall’ipotesi: quello che accade avvicinandosi ad un buco nero, trascende la comprensione
della realtà così come vissuta dall’uomo
5) controllare la validità delle previsioni con osservazioni ed esperimenti: dopo circa 50 anni furono
“avvistati” i primi buchi neri

Anche per questo esempio, il metodo classico non avrebbe permesso lo sviluppo della teoria.
Questo caso dimostra ancora che se la ricerca si lascia guidare da una teoria valida, anche quando sembra che giunga a risultati “fantascientifici”, è possibile portare la conoscenza umana verso altissimi livelli.
Oggi la fisica dello Spazio è lanciata verso l’infinito con una velocità sorprendente: osserva l’Universo con mezzi nuovi e ne scruta gli aspetti nascosti senza filtri cognitivi.
Questo atteggiamento consente agli scienziati di non fermarsi nemmeno davanti agli ostacoli più ardui: modello standard, inflazione, teoria delle stringhe, materia oscura, energia oscura, etc. sono tutti sistemi di teorie che anelano a diventare leggi e tentano di spiegare l’inspiegabile, anche se oggi nessuna gode delle prove necessarie per emergere e prendere il posto ufficiale nella storia.
Ne è un esempio la teoria dei “Wormholes”, letteralmente “buco di verme”: nel 1935, i fisici Albert Einstein e
Nathan Rosen usarono la teoria della relatività generale per proporre l’esistenza di “ponti” attraverso lo spaziotempo.
Questi percorsi, chiamati ponti Einstein-Rosen o wormholes, collegano due punti diversi dello spazio-tempo,
teoricamente creando una “scorciatoia” che potrebbe ridurre il tempo di viaggio e la distanza.



La teoria dei Wormholes appare bizzarra, assurda, per alcuni ridicola: tutte caratteristiche necessarie per scavalcare i limiti della mente umana. Il mondo scientifico dei fisici ha però imparato ad avere rispetto per teorie matematicamente coerenti, anche se fantascientifiche; lo stesso non si può dire dell’archeologia.

Esempio 4: “DEVE ESISTERE”

Il fisico teorico del Cern John Ellis con queste semplici parole tenta di spiegare: “Immaginate un’infinita distesa di neve, un campo esteso lungo tutto lo spazio. Il campo di Higgs è come questo: questo è fatto di fiocchi di neve, allo stesso modo il campo di Higgs è composto di piccoli quanti. Noi li chiamiamo Bosoni di Higgs“.
Il bosone di Higgs spiega dunque come mai tutte le particelle elementari che compongono la materia abbiano una massa e interagiscono formando la materia, anziché schizzare via alla velocità della luce.
La conferma sperimentale della previsione teorica del bosone del 1964 ha richiesto quasi mezzo secolo e il lavoro di più di un migliaio di fisici, oltre alla costruzione del più grande e costoso strumento scientifico mai realizzato, l’acceleratore Large Hadron Collider (Lhc) del Cern (Centro Europeo Ricerche Nucleari) che si sviluppa in un tunnel sotterraneo lungo 27 chilometri. Il bosone di Higgs è stato osservato per la prima volta nel 2012, negli esperimenti Atlas e Cms dell’Lhc e la sua scoperta è stata ufficialmente confermata il 6 marzo del 2013 nel corso di una conferenza tenuta a La Thile da parte dei fisici del Cern.
Il premi Nobel, Peter Higgs ha quindi guidato “a tavolino” la ricerca sperimentale per 50 anni ed oltre: la sua teoria elaborata grazie all’ausilio di strumenti tecnici particolari (carta e penna), ha impegnato il mondo scientifico per mezzo secolo e lo ha costretto a costruire il più grande acceleratore di particelle del mondo (a tutti gli effetti il laboratorio più grande mai costruito dall’umanità).



Applichiamo anche per questa teoria il metodo di ricerca sperimentale:
1) compiere osservazioni sistematiche: non era possibile fare osservazioni sui bosoni
2) formulare una domanda: cosa trasforma un elemento quantico in un elemento dotato di massa?
3) elaborare un’ipotesi: nel campo di Higgs esiste una particella che stabilisce la massa
4) trarre previsioni dall’ipotesi: tutto ciò che esiste ed è osservabile dall’uomo è legato a questa particella
5) controllare la validità delle previsioni con osservazioni ed esperimenti: come per i buchi neri, è stato
necessario mezzo secolo di ricerca

Si tratta ancora una volta della conferma che l’avanzamento nella comprensione dell’Universo, è guidati dalla teoria e poi confermato dalla sperimentazione, non viceversa.
E’ importante riflettere sul fatto che il LHC di Ginevra è un’opera colossale: è costruito all'interno di un tunnel
sotterraneo lungo 27 km, a 100 m di profondità in media. L’immagine seguente rende meglio l’idea:


Uno sforzo economico da 3 Miliardi di Euro, per costruire in circa 10 anni (dal 1998 al 2008) la macchina più grande mai realizzata dall’uomo e tutto per dimostrare teorie scritte su pezzi di carta da fisici teorici.
Questo deve farci riflettere sull’importanza della fisica teorica.

Valutazione di una nuova teoria archeologica

Dai 4 esempi sopra descritti, si evince che la Fisica ha saputo superare il metodo scientifico di tipo sperimentale facendo leva sulla fisica teorica: disciplina capace di muoversi agilmente laddove il metodo scientifico rallenta, ovvero nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande.
La domanda ora è più che mai lecita: perché non applicare lo stesso metodo di ricerca anche all’archeologia sulleorigini della civiltà umana?
La mia proposta parte da un esempio concreto di cui conosco i numeri in gioco: nel 2014 ho analizzato le probabilità di coincidenza sull’allineamento dei tre siti piramidali di Messico, Egitto e Cina, partendo dallo studio e dalle intuizioni di Fabio Garuti(5) (lo studio è scaricabile gratuitamente al seguente link: https://www.academia.edu/7932573/Linsostenibile_leggerezza_delle_coincidenze_Messico_Egitto_e_Cina_REV3_10-09-2014_
 ) e sonogiunto alla conclusione che la probabilità che tre civiltà distinte, vissute in tre epoche distinte ed in tre continenti distinti, abbiano potuto costruire ciascuna un sito con n°3 piramidi disposte sul piano in modo molto simile, allineandoli lungo una linea planetaria, è pari alla probabilità di lanciare un dado a 6 facce ed ottenere per 6 volte consecutive lo stesso numero.
Lo studio suddetto soffre della mancanza di dati sui siti di Messico e Cina, ed in particolare:
1) Estensione territoriale del regno della civiltà che si ritiene abbia costruito il sito piramidale di Teotihuacan
2) Area occupata dal sito piramidale di Xian in Cina
3) Estensione territoriale del regno della civiltà che si ritiene abbia costruito il sito piramidale di Xian
Queste informazioni potrebbero essere oggetto di ricerca da parte di chi ne ha competenze e risorse, ma alla fine il risultato sulla probabilità di coincidenza non varierebbe di molto: è estremamente improbabile che tutto ciò sia accaduto per puro caso.
All’interno di un altro articolo sulle anomalie storiche sulla costruzione della Grande Piramide di Giza (scaricabile gratuitamente al seguente link: https://www.academia.edu/7969307/Lanomalia_della_settima_meraviglia_GIZA_contro_tutti_rev2_07_03_2014 ) ho formulato un’ipotesi sulla possibile spiegazione dell’allineamento: “le piramidi attribuite ai faraoni della III e della IV dinastia, potrebbero essere state costruite da un’altra civiltà precedente? Potrebbero i faraoni della III e IV dinastia, aver avuto il merito di rinvenire e portare alla luce da millenni di parziale sepoltura dovuta alla sabbia del deserto, le prime 7 piramidi di cui alla tabella 1? Potrebbero aver avuto il merito di aver restaurato soltanto tali opere, o in alcuni casi magari abbellito con rivestimenti in pietra calcarea, le prime 7 piramidi di cui alla tabella 1?
Applichiamo anche per questa teoria il metodo di ricerca sperimentale:
1) compiere osservazioni sistematiche: osservazioni sull’allineamento e l’analogia di disposizione sul piano
2) formulare una domanda: potrebbero non essere stati gli Egizi a costruire la Grande Piramde?
3) elaborare un’ipotesi: vi è stata una o più grandi civiltà avanzate che hanno costruito le opere megalitiche
più importanti che oggi ritroviamo sparse per il mondo
4) trarre previsioni dall’ipotesi: questa civiltà era avanzata e capace di dominare il pianeta a livello globale
5) controllare la validità delle previsioni con osservazioni ed esperimenti: ?
I primi 4 punti sono soddisfatti, mentre il punto 5 resta difficile da soddisfare perché esperimenti ed osservazioni sono complessi e differenti da come li concepisce la fisica.
Ed è questo il punto d’appoggio per l’immobilismo accademico: la gran parte degli archeologi non vuole sondare la veridicità di nuove teorie sulle origini della civiltà umana perché controllare la validità delle previsioni è molto difficile. Difficile come costruire il LHC di Ginevra? Non credo.
A differenza della fisica teorica, dove esiste un metodo matematico per accettare o rigettare una nuova teoria, per le nuove teorie sulle origini della civiltà manca un metodo di analisi scientifico ed universalmente accettato.
Questo vuoto metodologico, lascia il campo aperto alle più svariate speculazioni per tentare di spiegare in modo più soddisfacente le falle della teoria classica: ecco che pullulano soprattutto sul Web, le teorie sugli antichi astronauti, i giganti, gli Dei, gli Atlantidei, etc.
Un metodo di valutazione potrebbe essere il seguente: assegnare il valore “1” quando riteniamo vera l’affermazione, mentre il valore “0” per il contrario, ed il valore “1/2” quando siamo in una situazione intermedia (“abbastanza”) per le colonne “Attendibilità”, “Verificabilità” ed “Inconfutabilità”.
Esplicitiamo le definizioni:
- Attendibile(7): che merita di esser preso in considerazione, degno di essere creduto;
- Verificabile(8): che può essere verificato, assoggettato a verifica
- Confutare(9): ribattere un’affermazione, una ragione, ecc., dimostrandola erronea o infondata
Alla fine della rispettiva colonna si moltiplicano i risultati nelle righe e si hanno le due situazioni seguenti:
1) Valore della moltiplicazione > 0 (Attendibile; Verificabile, Inconfutabile)
2) Valore della moltiplicazione = 0 (Non Attendibile; Non Verificabile; Confutabile)


 Per confrontare due teorie sullo stesso fenomeno, i valori nelle righe della stessa colonna vanno sommati.
In questo modo, la teorie che ottiene un valore più alto nella colonna “Attendibilità” sarà la più attendibile, e
rispettivamente la più verificabile e la più inconfutabile se ottiene il risultato più alto nella altre colonne.
E’ un metodo molto semplice per “scremare” le teorie che non hanno delle basi solide e per le quali non è
interessante continuare la ricerca.
Facciamo un esempio: c’è una teoria che spiega la costruzione della grande piramide di Giza con tecnologie
antigravità (“levitazione acustica” per esempio) per lo spostamento ed il posizionamento dei blocchi di pietra
calcarea e di granito.
Applichiamo la tabella di valutazione sopra descritta:














Il risultato è: non attendibile, non verificabile e confutabile.
Questo non significa che sia impossibile, ma soltanto che non è tra le teorie sulle quali investire tempo ed energie in modo prioritario.
Spostiamo ora l’attenzione su una teoria ufficiale:



Come si nota, anche la teoria ufficiale risulta sicuramente attendibile e verificabile, ma resta comunque confutabile.
Ed il valore di attendibilità è piuttosto basso.
Utilizziamo ora il metodo di confronto: la teoria ufficiale risulta ovviamente molto più attendibile, verificabile ed inconfutabile. L’aspetto che fa riflettere è il valore “zero” che ottengono entrambe le teorie per quanto riguarda l’inconfutabilità.
In effetti, le possibilità di ricostruire la piramide con le tecnologie dell’età del bronzo, sono le stesse di ricostruirla con le tecnologie antigravità per pressione sonora (ad oggi siamo in grado di sollevare solo piccoli oggetti dell’ordine di peso di pochi grammi con la tecnica della “levitazione acustica”)(6).
Nelle tabelle sopra illustrate, la riga n°5 non è stata compilata in quanto serve per abbassare il punteggio di una teoria quando raggiunge un valore tale da far ritenere la teoria valida e degna di approfondimento.
In quel caso è compito degli studiosi “attaccare” la teoria per verificarne la “forza”, inserendo il valore “-1” nelle caselle.
Facciamo un esempio con la teoria classica sopra esposta, quindi ricopiamo la tabella:




Come si nota, con semplici indizi deduttivi, si abbassano sensibilmente i valori di attendibilità, verificabilità ed
inconfutabilità.
Siccome l’assegnazione dei valori è comunque soggetta ad opinabilità, otteniamo un giudizio sulla teoria che
rispecchia l’onestà intellettuale e le conoscenze del compilatore.
Il metodo quindi si completa sottoponendo la valutazione a gruppi di studiosi e poi analizzando i dati complessivi anche con tecniche statistiche. Nella prima tornata di “valutazione preliminare” ciascuno studioso può aggiungere righe sia alla n°4 che alla n°5 indicando alla fine tra parentesi il suo nome e cognome.
L’organizzazione (potrebbe essere il comitato del TAG) riceve tutte le tabelle e ne compila una unica da ri-sottoporre alla compilazione definitiva degli studiosi che in questa occasione potranno solo inserire i valori di valutazione nelle caselle. Se una nuova teoria ottiene un punteggio superiore alla precedente, è giusto avviare un percorso che veda spostare più risorse per la ricerca sulla nuova teoria.
Questo metodo tabellare, consente inoltre di trattare facilmente i dati con un software e di ottenere importanti
indicazioni, anche usando metodi di analisi statistici.
A mio avviso, con questo semplicissimo (e migliorabilissimo) metodo, è possibile uscire dalla stagnazione in cui versa la ricerca archeologica sulle origini della civiltà umana e avviare un nuovo periodo di prosperità per
l’archeologia teorica e sperimentale.

Considerazioni finali

Non possiamo di certo pretendere che dal prossimo anno cambi il metodo di ricerca archeologica teorica sulle origini della civiltà umana; possiamo però sperare che tra gli studiosi accademici vi siano professori e ricercatori che hanno più a cuore la ricerca della verità, rispetto alla propria cattedra.
Capisco alcuni professori di discipline storiche particolari, come ad esempio l’Egittologia: nel loro caso, il
ridimensionamento al quale sarebbe soggetta la civiltà Egizia se si scoprisse che non hanno costruito le piramidi della piana di Giza, rappresenta anche il loro ridimensionamento. Ma se si è convinti di essere dalla parte della verità storica, non si dovrebbe temere l’applicazione di un metodo di valutazione scientifico e rigoroso di altre teorie che aspirano a sostituire quella ufficiale.
E’ un percorso difficile e lungo: non dimentichiamo che anche il genio assoluto Einstein difronte alla novità di studio dell’infinitamente piccolo imposto dalla meccanica quantistica, ebbe un approccio da conservatore.
Ma se si riesce a rompere il circolo vizioso autoreferenziale nel quale è caduta l’archeologia teorica, allora si può avviare il cambiamento.
Quando gli egittologi più conservatori definiscono una nuova teoria sulle origini della civiltà come “assurda”,
bisogna chiedere loro: “Assurda come quella teoria che vede il Sole al centro del sistema a la Terra che gli ruota intorno?”
Quando la definiscono “ridicola”, bisogna chiedere loro: “Ridicola come quella teoria che spiega come distorcere lo spazio ed il tempo?”
Quando la definiscono “bizzarra” e “impossibile”, bisogna chiedere loro: “Bizzarra e impossibile come quella teoria che prevede l’esistenza dei buchi neri?
Se la loro risposta sarà affermativa a tutte le domande, allora forse la nuova teoria è sulla strada giusta.

10/03/2016

Nota 1: http://tag2015bradford.org/programme/
Nota 2: http://www.conference-service.com/conferences/high-energy-physics-and-accelerators.html
Nota 3: http://www.treccani.it/enciclopedia/buchi-neri_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/
Nota 4:http://ebook.scuola.zanichelli.it/sadavabiologiablu/dalle-cellule-agli-organismi/section-6/il-metodo-scientifico-dall-osservazione-alla-teoria#3477
Nota 5: Dal libro “L’ombra di Orione sulla storia dell’umanità” di Fabio Garuti
Nota 6: http://www.focus.it/scienza/scienze/che-cose-la-levitazione-acustica
Nota 7: http://www.treccani.it/vocabolario/attendibile/
Nota 8: http://www.treccani.it/vocabolario/tag/verificabile/
Nota 9: http://www.treccani.it/vocabolario/tag/confutare/

lunedì 14 luglio 2014

Un italiano sconosciuto precursore di Einstein

pubblicato su Mystero n. 56, gennaio 2005 (rivista edita da Luigi Cozzi)



di Vito Foschi

«La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall'intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle. [...] La formula mv² ci dà la forza viva e la formula mv²/8338 ci dà, espressa in calorie, tale energia. Dato adunque m=1 e v uguale a 300 milioni di metri, che sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l'etere, ciascuno potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata da 10794 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni».

Introduzione

Albert Einstein in una fotografia del 1947. Nobel per la fisica 1921
Albert Einstein - Foto da Wikipedia
Ovvero E=mc2, come dirà dopo Albert Einstein. Dopo? Ebbene sì, non è una frase di Albert Einstein, ma di un suo oscuro precursore. Come si legge dal passo sopra riportato, l’equivalenza fra massa ed energia è chiaramente formulata nei termini matematici esatti che saranno poi di Einstein. Questo frase fa parte di un articolo apparso nel febbraio del 1904 negli atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti ed intitolato “Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo”. L’articolo porta in allegato una lettera di complimenti del famoso astronomo Schiaparelli.
L’articolo, in cui Einstein presenta la sua famosa formula è presentato alla rivista Annalen der Physik nel settembre 1905, quindi più di un anno e mezzo dopo la pubblicazione dell’“Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo”.
Vi chiederete chi è l’autore di questa opera che sembra anticipare e forse ispirare il famoso scienziato tedesco? L’autore è uno sconosciuto agronomo vicentino: Olinto De Pretto.
Esaminiamo i particolari della vicenda.

L’articolo di Einstein

L’articolo in cui Einstein presenta la formula dell’equivalenza fra massa ed energia segue di qualche mese quello sulla teoria della relatività. Potrebbe sembrarne una diretta conseguenza, ma in realtà non è così. L’idea è in un certo qual modo indipendente, anche se si inserisce perfettamente nell’ipotesi della relatività. Idee similari erano state proposte da alcuni scienziati, tra cui Poincaré che aveva ipotizzato che l’energia elettromagnetica potesse essere considerata come «"un fluide fictif", la cui massa è uguale al rapporto tra l'energia e il quadrato della velocità della luce». L’ipotesi di Einstein si poteva tranquillamente inserire in questa corrente di pensiero più che essere una conseguenza della teoria della relatività ristretta. Oltre a ciò, l’articolo di Einstein presenta un’ipotesi ristretta, rispetto alla formulazione generale di Olinto De Pretto, riferendosi al caso specifico di un corpo radiante. Infine, il titolo dell’articolo presenta un punto interrogativo come se si volesse rispondere ad un quesito già posto da altri. Questo, insieme alla possibilità che il giovane fisico tedesco potesse essere a conoscenza del lavoro di De Pretto, porta ad ipotizzare che si sia potuto ispirare a quest’ultimo. I legami con l’Italia del giovane Einstein sono stato importanti dato che la sua famiglia vi si trasferì definitivamente nel 1894 e che conosceva l’italiano tanto bene da tenere delle conferenze nella nostra lingua. Purtroppo non è facilmente dimostrabile che lo scienziato fosse a conoscenza del lavoro di De Pretto.

Olinto De Pretto, chi era costui?

Olinto De Pretto nacque in provincia di Vicenza il 26 aprile del 1857, sesto di sette fratelli e si laureò in Agraria presso l’Università di Milano per poi lavorare, subito dopo, alla scuola Superiore di agricoltura come assistente. Lasciato il lavoro all’università nel 1886, Olinto De Pretto assunse la carica di direttore amministrativo della Fonderia De Pretto, costituita da suoi famigliari, che lasciò nel 1920, quando l’azienda si fuse con la svizzera Escher Wyss. Accanto a questa attività si occupò di fondare scuole tecniche professionali e di varie società industriali. La sua vita si concluse tragicamente il 16 marzo 1921 quando fu ucciso da una donna che lo accusava di essere stato la causa del mancato successo del marito, proprietario di una cava di lignite. In quello stesso anno usciva alle stampe il libro di De Pretto “Lo spirito dell’universo” dove riprendeva i temi della suo lavoro del 1904.
In questo suo libro potrebbe trovarsi una rivendicazione della primogenitura dell’idea dell’equivalenza fra massa ed energia, ma non se ne trova traccia. In realtà, le idee di De Pretto e di Einstein avevano in comune solo l’enunciato dell’equivalenza fra massa ed energia mentre per il resto differivano totalmente. Le idee di De Pretto si basavano sul concetto di etere e negavano il valore limite della velocità della limite, anzi presupponevano un valore di propagazione dell’attrazione gravitazionale infinito, idee totalmente opposte a quelle einsteiniane. Probabilmente per questo, l’agronomo vicentino nel suo libro non incluse idee che inficiavano le sue teorie.

Il collegamento


Come accennato la famiglia di Einstein si stabilì in Italia dal 1894. Il padre dello scienziato si occupava dell’installazione della luce pubblica in alcuni comuni del Veneto e proprio la Fonderia De Pretto era una delle poche aziende capaci di costruire turbine necessarie per la produzione di elettricità. Inoltre i De Pretto compivano frequenti viaggi in Svizzera per motivi legati a brevetti internazionali. Questa potrebbe essere la via con cui Einstein venne a conoscenza della teoria di De Pretto, ma potrebbe esisterne un’altra, indiretta, ma più interessante.

“A conclusione osservo che durante il lavoro ai problemi qui trattati il mio e collega M. Besso mi stette fedelmente a fianco e che io devo allo stesso parecchi preziosi incitamenti”.

Questa frase si trova nell’articolo del 1905 in cui Einstein pone le basi della relatività ed è tanto importante perché nell’articolo manca totalmente la bibliografia.
L’amicizia fra Michele Besso ed Albert Einstein nacque al Politecnico di Zurigo e durò tutta la vita. Besso nacque nel 1873 a Trieste da una famiglia piuttosto agiata, divenuto ingegnere, lavorò presso la “Società per lo sviluppo delle Industrie elettriche in Italia” per poi lasciarla per andare a lavorare nell’ormai storico Ufficio Brevetti di Berna, dietro insistenza dell’amico tedesco. Di questo periodo non esiste documentazione scritta dato il contatto diretto dei due amici. Besso era dotato di profonda curiosità scientifica in vari campi ed aveva mantenuto legami con la famiglia in Italia, ma circostanza notevole, un suo zio con cui aveva un rapporto piuttosto stretto, Beniamino Besso, era Direttore delle Ferrovie Sarde e risiedeva a Roma, ed un fratello di Olinto De Pretto, Augusto, faceva parte del Reale Ispettorato delle Strade Ferrate, e per motivi di lavoro soggiornava spesso a Roma. Si può ipotizzare che Augusto De Pretto, abbia potuto parlare delle idee del fratello Olinto ai suoi colleghi, tra cui Beniamino Besso e questi ne abbia potuto accennare al nipote Michele con cui aveva un fitto rapporto epistolare. Certo, prove documentabili non ne esistono, ma esiste una concreta possibilità di un contatto, seppur indiretto, fra l’agronomo vicentino e lo scienziato tedesco.
Del fatto ne avrebbe potuto parlare lo stesso Einstein citandolo insieme ai tanti aneddoti della sua vita, raccontando di come aveva trasformato un’idea folle di uno sconosciuto nella più grande scoperta del secolo. Ma il fatto che non ne parla non significa nulla perché spesso ciò che ricordiamo del nostro passato è una ricostruzione a posteriori. A questo proposito riporto un passo dell’articolo “I sentieri dell’innovazione” di Armando Massarenti pubblicato su “Il Sole 24 Ore” del 19 settembre 2004:
«…gli storici della scienza sanno che i racconti individuali degli scienziati vanno sempre presi con molta cautela. In perfetta buona fede essi tendono a dare ricostruzioni mitiche delle loro scoperte e dei processi che vi hanno condotto. Esemplare è il caso di Einstein che era assolutamente convinto di aver elaborato la teoria della relatività ristretta in risposta all’esperimento di Michelson e Morley sul trascinamento dell’etere. In realtà esso era sì stato svolto alcuni anni prima, ma Einstein ebbe modo di conoscerlo solo dopo l’elaborazione della propria teoria. A convincerlo di ciò è stata la puntuale ricostruzione degli eventi fatta da Gerard Holton.
Ma non si può biasimare Einstein per aver creduto in una versione mitica ed edificante degli eventi, peraltro tuttora riprodotta in buona parte dei manuali di fisica».

Conclusioni


Dell’intricata ed affascinante faccenda ne parla diffusamente il prof. Bartocci dell’Università di Perugia, alle cui ricerche facciamo riferimento, nel suo libro “Albert Einstein e Olinto De Pretto: La vera storia della formula più famosa del mondo” (Bologna, Andromeda, 1999), opera quasi introvabile anche perché nessun grande editore rischierebbe su un libro del genere: Albert Einstein è per il momento intoccabile.

mercoledì 9 luglio 2014

La corta memoria della scienza (4 di 4)

di Vito Foschi

Comunicazione e metodologia della trasmissione del sapere


Un altro fattore da non trascurare è la metodologia della trasmissione del sapere. Anche oggi in un mondo in cui l’informazione sembra a portata di mano esistono zone oscure in cui è impedito l’accesso. Basti pensare a quanta tecnologia militare è chiusa in sicuri bunker inaccessibili ai più. O un esempio, più banale, ma forse più emblematico, la formula della Coca Cola, uno dei segreti meglio custoditi del mondo. Anche in passato la trasmissione del sapere è stata soggetta a questi vincoli. E così l’artigiano trasmetteva le sue scoperte ai suoi allievi, che avrebbero fatto lo stesso, mantenendo un vincolo di segretezza. Le corporazione medievali ne sono una chiara testimonianza. Un altro esempio è l’arte della metallurgia ammantata da oscuri simbolismi dai sacerdoti egizi per mantenere il loro segreto e il loro potere.
Naturalmente questa segretezza ha permesso ad alcune conoscenze di attraversare i secoli sottraendosi all’occhio di severi censori che accendevano falò su cui bruciare i libri, ma aumentando anche il rischio di vedere dimenticate certe conoscenze.

Effetto collaterale: esoterizzazione della cultura moderna


Come accennato prima per la scienza, che subisce un processo di esoterizzazione, sta avvenendo per la cultura in genere. Ormai si è creata una sovrastruttura informativa formata dai media quali stampa, radio, TV ed Internet che invece di facilitare l’accesso alla conoscenza finisce per occultarla in un bombardamento continuo di notizie e informazioni che finiscono per occupare tutto lo spazio mentale rendendo impossibile un pensiero ed una rielaborazione critica.
Un’altra sovrastruttura che apparentemente dovrebbe facilitare ma che in realtà nasconde è il commento dei testi classici. Con la scusa di renderli leggibili per i lettori moderni, si finisce di infarcirli tanto con introduzioni, note, commenti, glosse da nascondere l’opera. Inoltre, il numero di pagine di questi “aiuti alla lettura”, a volte, supera abbondantemente quelle dell’opera stessa, con il risultato finale di libri di centinaia di pagine che scoraggiano alla lettura, quando in realtà, l’opera originale è di poche pagine. E poi, perché è necessario il commento? Perché la cultura ha subito una destrutturazione ed una specializzazione. Prima esistevano le materie del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica) e la loro conoscenza era sufficiente ad accedere a tutto il sapere. Ora questa struttura non esiste più, esistono le specializzazioni, che rendono sì possibile dei risultati, ma al costo di vivere nella propria gabbia specialistica e di non riuscire più ad accedere alle diverse branche del sapere.
Un altro fattore che rende difficile la lettura di testi antichi è la cancellazione della religione dalle materie d’insegnamento. Sarà stata una conquista dello stato laico, ma, di fatto, impedisce l’accesso alla cultura antica tutta impregnata di religione e misticismo.
Come ho detto prima, viviamo in una continua rincorsa per stare a passo coi tempi imparando cose inutili e dimenticando spesso conoscenze utili. Gli esempi li viviamo noi stessi. Vi chiedo: sapreste riconoscere un santo che vedete raffigurato in una chiesa? Credo che la maggior parte di noi eccetto per i santi più noti avrebbe delle difficoltà. Sembra una sciocchezza, ma questo è un esempio concreto a noi vicino della distruzione della conoscenza del passato. E non crediate che sia un problema di poco conto. Quanti studiosi stanno lì a lambiccarsi il cervello per interpretare una raffigurazione religiosa cercando di capire che santi sono rappresentati? La cosa demoralizzante è, che un qualsiasi nonno, anche un po’ svanito, sarebbe in grado di riconoscerli, perché venendo da una società in cui la scrittura non era ancora dominante, al catechismo gli hanno insegnato a riconoscere i santi dai particolari della loro rappresentazione. San Rocco dalla piaga alla gamba e dal cane, per farvi un esempio concreto a me noto.

 


Conclusioni


Possiamo ben dire come afferma Hancock nel suo libro “Le impronte degli dei”, di essere una specie affetta da amnesia e, aggiungiamo, che i moderni sistemi di comunicazione e memorizzazione delle informazioni non rendono più facile il compito di ricordare; anzi, sono loro la causa principale della crescita esponenziale della produzione di documenti, spesso privi di qualsiasi utilità, che essendo più veloce della capacità di immagazzinamento, lo rendono più difficile. Senza contare, che anche se si riuscisse ad immagazzinare tutto, rimarrebbe il problema di come accedere a tale sconfinata massa di informazioni e se qualcosa rimane inaccessibile è come non averla affatto.
Questo in termini generali, ma è ancor più necessario un ripensamento di tutto il processo scientifico, affinché la scienza non diventi un’inutile fatica di Sisifo, impegnata a scoprire per poi dimenticare più e più volte. Sarebbe necessario, forse, che gli stessi scienziati dedicassero parte del loro tempo a ricerche d’archivio, esercizio che permetterebbe loro di aver un’apertura mentale ed una flessibilità di pensiero più ampia ed, a volte, di evitare l’inutile sforzo di riscoprire cose già note. Questo permetterebbe di risparmiare risorse da impegnare in “vere” nuove scoperte.


           
Note:


1)      Salvatore Settis, Le officine di Archimede, Il Sole 24 Ore del 18 gennaio 2004;
2)      Rick Sanders, “ll”, Graal n.8, marzo-aprile 2004, Hera Edizioni;
3)      Articolo riportato parzialmente sul libro di Jean-Marc Lévy-Leblond, “La Pietra di Paragone La scienza alla prova”, CUEN 1998;
4)      Giorgio Nebbia, “Innovazione in Italia? Si provveda di ufficio”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 12/3/2000.
5)      Jean-Marc Lévy-Leblond, “La Pietra di Paragone La scienza alla prova”, CUEN 1998, pag. 94;
6)      Per chi volesse avere qualche informazione in più può leggere l’articolo “Albert Einstein e Olinto De Pretto: un dimenticato precursore italiano dell’equivalenza tra massa ed energia” di U. Bartocci, M. Mamone Capria, reperibile in Internet all’indirizzo: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/depre.html.


Bibliografia:

Jean-Marc Lévy-Leblond, “La Pietra di Paragone La scienza alla prova”, CUEN 1998;
AA. VV. Episteme, Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, n. 1 – 6, 2000 – 2002;
Paolo Rossi, “Origini di una favola clericale”, IlSole-24ore di domenica 6 giugno 2004.

martedì 8 luglio 2014

La corta memoria della scienza (3 di 4)

di Vito Foschi


Un altro esempio ci viene dalla zoologia. Esistono degli elenchi delle specie in pericolo di estinzione dando così per scontato che le specie non in elenco non corrono pericolo. Ma è proprio così? Purtroppo no. In realtà di molte specie non si sa più nulla perché dopo la loro scoperta e classificazione avvenuta anche più di un secolo fa, non sono state più fatte ricerche. Nel diciannovesimo secolo è stato fatto un enorme sforzo di scoperta e classificazione e numerosissime specie si conoscono solo grazie alle pubblicazioni di allora. Nel curriculum dei biologi di oggi alla zoologia è riservato ben poco spazio. Quando qualche spedizione ritorna ad esplorare i luoghi di avvistamento di alcune specie, spesso non le ritrova, perché ormai estinte.
Un altro esempio dal libro di Lévy-Leblond:«Da qualche anno, non è raro veder citare, in articoli di ricerca “di punta”, come riferimento tecnico immediato, dei lavori del matematico Henri Poincaré che risalgono a più tre quarti di secolo e che non erano più stati menzionati per diversi decenni. […] L’irruzione della fisica detta moderna, teorie quantistiche, relatività, aveva all’inizio del secolo relegato – così sembrava – quella fisica negli scaffali di un classicismo polveroso». Più avanti:«Si è dovuta operare una vera riconquista e, attraverso i campi fino a poco tempo fa riconosciuti e coltivati ma abbandonati e ridivenuti incolti, ritrovare sentieri dimenticati. Così l’ingenua fede in una modernità irreversibile e la sottovalutazione presuntuosa di un’antica disciplina hanno impedito e ritardato uno sviluppo scientifico maggiore».
Da un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno: «Alcune innovazioni sono già state fatte decenni fa e alcuni insuccessi erano già prevedibili: la pericolosità e la tossicità del piombo tetraetile – l’antidetonante delle benzine ormai quasi definitivamente eliminato dalle benzine in commercio, quelle che si chiamano “con piombo” – erano ben conosciute da chi aveva scoperto la nuova sostanza negli anni venti del Novecento. Alcuni processi per diminuire l’inquinamento atmosferico erano già stati inventati nella metà dell’Ottocento e poi accantonati. Gli attuali processi di riciclo dei rottami metallici sono stati inventati un secolo e mezzo fa.»(4)
Da un articolo de “Il Sole-24 Ore” del 22 febbraio 2004 di Cristina Marcuzzo: «La teoria economica, nella sua storia, non segue un tracciato regolare, né si presenta come un accumulo di verità acquisite una volta per tutte. I “ritorni” a idee del passato sono frequenti, come sono ripetuti gli abbandoni di alcune concezioni, quando non reggono al confronto con la teoria ritenuta al momento più “vera”». Abbiamo visto che non è una caratteristica tipica dell’economia, ma è comune a tutte le scienze. Dallo stesso articolo: «Rivisitare le idee del passato può significare rafforzare le convinzioni del presente, oppure ricercare percorsi che non si sono imboccati o che sembrava portassero, in un particolare momento storico, a un vicolo cieco. Qualunque sia il fine dell’esercizio, interrogare la storia, sia dei fatti che delle idee, è la condizione della crescita della conoscenza, intesa non come progresso lineare dall’errore alla verità, ma come consapevolezza dei suoi limiti e della sua circonstanzialità».
Ed ancora: «Ormai una componente regolare delle riviste scientifiche generiche, come “Nature” o “Science”, è la messa in rilievo di lavori dimenticati che anticipano di parecchi decenni delle (ri)scoperte recenti presentate come originali.»(5)
Altri esempi li possiamo trovare nella rubrica Reprints della rivista “Episteme” del prof. Umberto Bartocci reperibile anche in Internet. In tale rubrica sono pubblicati o vecchi lavori ormai dimenticati o teorie recenti ma controverse. Ad esempio nel numero 2 troviamo il discorso tenuto dal prof. Quirino Majorana, zio del più noto Ettore Majorana, all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna in occasione della inaugurazione dell’Anno Accademico in data 9 Dicembre 1951, in cui lo scienziato contesta la teoria della relatività di Einstein evidenziandone le contraddizioni.
Un articolo interessante è “Low Energy Nuclear Reactions” con sottotitolo “The revival of alchemy” di Roberto A. Monti presente nel numero 4 di Episteme. Vi riporto la traduzione dell’abstract:

«Nel 1959 C.L. Kervran mostrò l’evidenza sperimentale delle Trasmutazioni a bassa Energia, ma i fisici contemporanei rifiutarono di credere nell’evidenza sperimentale di fronte a loro perché avrebbe messo in questione gli interessi, molto ben stabiliti, della Fisica delle Alta Energia. Nel 1989 Fleishmann e Pons fecero un’altra Trasmutazione a bassa Energia, erroneamente chiamata “Fusione Fredda”, il quale attirò grande attenzione. I fisici dell’Alta Energia iniziarono una fortissima campagna per invalidare la “Fusione Fredda” di fronte al pubblico. Nel 1996 “Lo Sviluppo delle Tecnologie delle Trasmutazioni” diventa il problema fondamentale della Seconda Conferenza delle Reazione delle Basse Energie (College Station, TX). Nel 1998, ICCF-7 (Vancouver) e nel 2000, ICCF-8 (Lerici, Italia) mostra l’evidenza conclusiva dei Fenomeni di Trasmutazione a Bassa Energia. Le allusioni alchemiche risultano essere sempre corrette, provando che l’alchimia è una scienza sperimentale. La fisica del XXI secolo sarà caratterizzata dalle Reazione Nucleari a bassa energia: il risveglio dell’alchimia.»

Il prof. Roberto Monti è anche un forte critico della teoria della relatività di Einstein. L’esistenza di critiche alle teorie einsteiniane è cosa pochissimo nota e comunemente si pensa che tali teorie siano verità incontestabili o per lo meno così viene fatto credere, ma come visto non è affatto così.

Un caso sbalorditivo, perfetto esempio dell’amnesia programmata della scienza, è quello che riguarda un possibile antesignano della famosa formula E=mc2 di Einstein; nel 1904 un certo Olinto De Pretto, agronomo vicentino, pubblica “Ipotesi dell’etere nella vita dell’universo” negli Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze con prefazione del famoso astronomo Schiaparelli. La frase che sembrerebbe anticipare la teoria della relatività è la seguente:

«La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa una somma di energia rappresentata dall'intera massa del corpo, che si muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità delle singole particelle. [...] La formula mv² ci dà la forza viva e la formula mv²/8338 ci dà, espressa in calorie, tale energia. Dato adunque m=1 e v uguale a 300 milioni di metri, che sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l'etere, ciascuno potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata da 10794 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni».

Come vedete, eccetto il riferimento all’etere, la formula E=mc2 è chiaramente formulata. I legami con l’Italia del giovane Einstein erano piuttosto forti considerato che la sua famiglia vi si trasferì definitivamente nel 1894. Inoltre, conosceva l’italiano tanto bene da tenere delle conferenze nella nostra lingua e la formulazione che Einstein fa della formula è meno generale di quella di De Pretto  riferendosi al caso specifico di un corpo radiante. Purtroppo non è facilmente dimostrabile che lo scienziato fosse a conoscenza del lavoro di De Pretto.
Della questione ne parla diffusamente il su citato prof. Bartocci nel suo libro “Albert Einstein e Olinto De Pretto: La vera storia della formula più famosa del mondo” (Bologna, Andromeda, 1999), opera quasi introvabile anche perché nessun grande editore rischierebbe su un libro del genere: Albert Einstein è per il momento intoccabile.
In ogni caso è regola ricordare il primo che ha concepito una idea e non i suoi successori. La teoria di De Pretto contiene ancora il riferimento all’etere e conterrà altri errori però sarebbe giusto riconoscerli la paternità della formula più famosa del mondo.(6)

Come si evince da quanto detto la scienza ha la spiccata tendenza a dimenticare se stessa, cancellando di fatto la sua storia rendendo difficile se non impossibile recuperare idee accantonate, ma che in un secondo momento potrebbero ritornare utili.
Altra conseguenza è la sempre maggiore difficoltà della scienza di spiegare se stessa. Se scompaiono i sentieri che hanno condotto ad una scoperta, come sarà possibile spiegarla ai non specialisti? Se gli stessi addetti ai lavori non controllano il loro sapere, sempre più parcellizzato, come posso pretenderlo di divulgarlo? Si assiste ad un processo che potremmo chiamare “esoterizzazione”, nel senso di rendere difficile l’accesso a qualcosa, senza nessun riferimento al sapere iniziatico, della scienza. Una delle accuse mosse alla magia da parte della scienza, sta diventando sua componente fondante.

lunedì 7 luglio 2014

La corta memoria della scienza (2 di 4)

di Vito Foschi

L’amnesia del presente


L’uomo ha la strana tendenza a dimenticare e non è un'esclusiva dei nostri avi come si potrebbe pensare, anzi si può dire che questo processo nella nostra epoca “scientifica” stia subendo un’accelerazione. La continua produzione di nuovi saperi costringe l’uomo ad una continua rincorsa del presente dimenticando tutto quello che ha imparato per poter essere “al passo con il tempo”. Ma fra le tante cose che si dimenticano non ci sarà qualcosa di utile? Ma poi, tutta la rincorsa ad essere aggiornati coi tempi è veramente importante? Non sarebbe necessaria una rielaborazione critica di tutta la messe di informazioni prodotta per discernere l’utilità o meno? Mi interessa veramente sapere come funziona l’ultimo modello di telefonino che non comprerò mai, perché ora non ho i soldi e fra un mese quando li avrò, sarà già uscito il modello successivo? O ancora, perché affannarsi con gli aggiornamenti del sistema operativo del computer o del programma di videoscrittura, giusto per non fare nomi, quando per il mio uso corrente quello che ho, è già ottimo? E il risultato qual è? Che perderò tempo a leggere il nuovo manuale del programma di videoscrittura, invece che a leggere il tal libro che mi serve per scrivere un articolo. Questo a livello individuale, mente a livello collettivo si avrà una distruzione sistematica del sapere che diventa veramente “passato”! Si vendono manuali sulle nuove versioni dei programmi a scapito di opere che meriterebbero di essere lette con una graduale sostituzione dei libri buoni con i libri cattivi utilizzando una metafora economica sulla moneta che recita che la moneta cattiva scaccia quella buona. Con una differenza: la moneta buona viene tesaurizzata, mentre i buoni libri finiscono al macero.

I nostri progenitori avevano una cultura orale che si trasmetteva da padre in figlio. Questo ci fa pensare che fosse una cultura che tendesse a dimenticare se stessa. Ma ne siamo proprio sicuri? Gilgamesh non esiste tuttora? E i Veda? E i miti egizi? Quelli greci o romani? E perfino quelli celtici sono sopravvissuti alla sistematica persecuzione dei druidi da parte degli antichi romani!
In passato il mito riusciva a passare indenne attraverso le generazioni, forse modificandosi ma mantenendo intatto il nucleo centrale. Oggi tutto questo non esiste. Esistono le varie soap-opera,  telenovelas, telefims che dopo successi strepitosi svaniscono come neve al solito come se non fossero mai esistiti. Chi si ricorda più di programmi degli inizi degli anni ottanta? Del nome di attori che all’epoca sembravano tenere il mondo in una mano?

Certo delle perdite ci sono state, ma purtroppo ci saranno sempre. Anche nel nostro mondo industrializzato in cui scienza e tecnica sono padrone c’è una spiccata tendenza ad obliare il passato. Quante opere del cinema mute sono andate perse? E quante si sono riuscite a salvare solo con costosi restauri? Per fare un esempio nel campo artistico, ma questo succede ed è ancora più grave perché implica i suoi stessi processi di produzione, nella scienza. Abbiamo accennato alla parentesi medievale in cui il sapere umano ha subito una distruzione sistematica e questo è sicuramente successo in passato in altre civiltà. Basti pensare che ancora non si è grado di capire come sono state costruite opere megalitiche con la semplice forza umana e animale.

L’amnesia programmata della scienza: il processo scientifico si basa sulla distruzione del saper precedente ed alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più volte

La scienza è un continuo processo di affinamento della conoscenza e questo implica la necessità di cancellare gli errori del passato per far spazio agli ultimi risultati ritenuti più corretti. «L’oblio è costitutivo della scienza. Impossibile per lei conservare la memoria di tutti i suoi errori, la traccia di tutte le sue erranze. La pretesa di dire il vero costringe a dimenticare il falso». Dal libro di Lévy-Leblond.
Banalmente la teoria eliocentrica ha cancellato la teoria tolemaica ormai dimenticata. Questo processo è giusto e necessario, ma comporta dei rischi. Abbiamo visto come in passato la scienza è dovuta ritornare sui suoi passi per riscoprire ciò che si sapeva secoli prima, ma questo accade tutt’ora. È insito nell’attività scientifica la distruzione delle vecchie ricerche per far posto alle nuove. Ma in tutto questo scarto non ci sarà qualcosa che meritava di essere salvato? Sono molteplici gli esempi di ricerche non proseguite perché le necessità o le mode del momento, perché anche nella scienza esistono le mode, hanno spostato l’attenzione su altri settori e poi sono state riprese decenni dopo. Questo potrebbe sembrare un problema da poco, ma oggi la produzione scientifica è su una scala molto vasta e lo scarto è a sua volta su una scala altrettanto vasta. Non esistono più i pochi studiosi che si conoscevano tutti quanti e che si incontravano in qualche congresso mondiale, ormai a livello mondiale possiamo parlare di milioni di persone impegnate nella ricerca. Basti pensare al moltiplicarsi delle università italiane e della conseguente moltiplicazione dei professori, che volenti o nolenti per esigenze di sopravvivenza devono produrre o almeno dimostrare di fare ricerca pubblicando articoli su apposite riviste. Anzi, il loro avanzamento di carriera è anche ancorato al numero di articoli pubblicati con tutte le conseguenze del caso sull’inflazione produttiva di articoli. Alcuni vengono scritti solo per allungare un curriculum senza contenere nulla di interessante sul piano scientifico.
L’accumularsi di tutta questa produzione pone problemi di spazio alle biblioteche che tendono ad accumulare in modo disordinato le riviste scientifiche, strumento principe dell’attività scientifica, e recuperare ricerche del passato è a volte quasi impossibile. Oltre a questo problema logistico, esiste il ben più grave problema culturale, che chi ha condotto studi specialistici, trova difficoltà a prendere in mano nuovi saperi in branche completamente nuove: di fatto è impreparato! Il lavoro scientifico si basa su una specie di allenamento fatto di letture di articoli di settore, nel padroneggiare certi procedimenti matematici e determinati strumenti, se tutto questo manca è come ritrovarsi a leggere un libro in un’altra lingua. Si è grado di leggere, cioè si hanno le conoscenze scientifiche di base, ma non si conosce la lingua cioè gli strumenti specifici di quella particolare materia. Non è un lavoro da poco. Ne ho fatto esperienza personale con la mia tesi. Ho dovuto passare mesi per familiarizzare con l’argomento e padroneggiare un programma di simulazione matematica per poter incominciare a lavorarci. Immaginate la difficoltà a riprendere studi di decenni fa, che trattano di teorie completamente diverse e dimenticate. Ancora Lévy-Leblond:
«…i meccanismi di rimozione e occultamento, costitutivi del funzionamento della ricerca, conducano ormai a degli effetti perversi o, se non altro, controproducenti. […] Il fatto è che l’eliminazione delle foglie morte della scienza, il rigetto dei suoi rifiuti opera ormai sulla stessa scala industriale della sua produzione. […] Più precisamente, come esser certi che, in quelli che consideriamo oggi lavori secondari o senza sbocchi, abbozzi o doppioni, non giacciono, invisibili nel contesto attuale, un punto di vista, un metodo, un risultato ricchi di implicazioni future?».
Ecco alcuni esempi di scoperte dimenticate e poi ritrovate.
La malattia dell’olmo che ha portato alla distruzione di milioni di piante è stata affrontata coi metodi della biologia moderna senza alcun risultato, mentre nell’ottocento si sapeva come affrontarla. Ci si era dimenticati degli studi condotti dal 1843 al 1859 di un certo Eugène Robert che permisero all’epoca di fermare l’epidemia! Vi riporto una frase dell’articolo di Didier Fleury che ha riscoperto il metodo:«Avendo a disposizione mezzi di indagine di una potenza senza uguali nel passato, la biologia ha tendenza a vedere questioni nuove laddove di fatto c’è ben poco di nuovo!»(3)
Per anni si è pensato che lo stomaco non potesse ospitare batteri patogeni cronici non riuscendo a capire l’origine dell’ulcera gastrica. Invece da pochi anni si è “scoperto” che la causa è proprio un batterio, l’Helicobacter pilori. Di fatto si sono trascurate osservazioni di un secolo fa che affermavano la presenza di batteri nello stomaco.