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sabato 9 gennaio 2021

Il mistero della Mary Celeste: la prima nave fantasma

tratto da "Il Giornale" del 24/09/2020

Un brigantino appare al largo delle Azzorre. Ha le vele spiegate e nessun danno apparente. Il ponte deserto. Il suo equipaggio è scomparso e a tre secoli di distanza nessuno sa spiegarne il motivo

di Davide Bartoccini

Dicembre 1872, un brigantino che batte bandiera americana viene avvistato al largo delle Azzorre, alla via, con le vele spiegate e il ponte deserto. Nessuno a governare il due alberi alla deriva verso Gibilterra.

Inizia così il grande mistero della Mary Celeste: la nave fantasma.

È il quarto giorno dell'ultimo mese dell'anno, e le acque dell'Atlantico che portano dritte alle porte del Mediterraneo sono placide, quando David Morehouse, capitano della Dei Gratia, posa il cannocchiale sull'occhio per scrutare l'orizzonte, imbattendosi nella nave che gli appare subito come lo spettro inquietante di una vicenda misteriosa. Sul brigantino - comparso dal nulla - non c'è più traccia di nessun membro dell'equipaggio. Otto marinai e due passeggeri, moglie e figlia del capitano, sembrano essere scomparsi nel nulla. È al cospetto di una nave fantasma.

A bordo della Mary Celeste, varata undici anni prima con il nome di Amazon a Spencer's Island in Nuova Scozia, viene trovato cibo commestibile e ancora nei piatti, e viveri sufficienti a passare altri sei mesi per mare. Insieme al cibo, ci sono un'abbondante riserva di acqua ancora perfettamente potabile, gli effetti personali del capitano, dei membri dell'equipaggio, e di entrambi i passeggeri, compreso denaro e oggetti di valore. Non può trattasi di un caso di pirateria durante il quale l'equipaggio è stato brutalmente assassinato o dato, come si sul dire nei vecchi romanzi marinareschi "in pasto ai pesci". Non c'è traccia di sangue. Né di uno dei tanti casi in cui la malattia o la fame - che troppo spesso sfocia nel cannibalismo - hanno decimato l'equipaggio, costringendo i superstiti ad abbandonare una nave che non erano più in grado di governare o per non essere “contagiati".

Ciò che la fa apparire davvero una nave fantasma agli occhi del primo ufficiale della Dei Gratia, Oliver Deveau, che sale a bordo per ispezionarla, sono le vele in parte squarciate, come se avessero da poco attraversato una tempesta senza essere state ammainate. Ma quello che inquieta è anche il ponte grondante d'acqua, come anche le stive, dove si affonda il corpo in quasi un metro d'acqua per scoprire che il carico di ben 1701 barili di alcol denaturato è totalmente intatto e al suo posto. È mal ridotta la bussola, che non punta più a nord, non funzionante l'orologio, e mancano il sestante e il cronometro marino, come anche l'unica scialuppa di salvataggio. Solo accedendo all'alloggio del capitano, Benjamin Spooner Briggs, i marinai entrati nella nave scoprono che l'ultima annotazione sul diario di bordo risale al 25 novembre, quando la Mary Celeste era giunta al largo dell'isola di Santa Maria delle Azzorre, avvistando terra.

Cos'è accaduto in quei nove giorni resta un mistero. Nessuno riesce a capire quale sia stato il destino dell'equipaggio, che in tempi più recenti gli amanti delle teorie più estreme l'hanno addirittura collegato a uno dei famigerati rapimenti alieni. Ma allora, in secolo ancora pregno di suggestioni e superstizioni, si mormorava potesse essersi abbattuta soltanto la "malasorte" di quella nave, che aveva già patito diversi incidenti e incendi in mare, e la morte del suo primo capitano dopo solo nove giorni dall'inizio del suo viaggio inaugurale.

Quando la Mary Celeste è condotta a Gibilterra dall'equipaggio del vascello canadese, viene aperta un'inchiesta estremamente approfondita per far luce sull'accaduto. Condotta da alti funzionari britannici e durata tre mesi, l'inchiesta attira l’attenzione della stampa del nuovo e del vecchio mondo a causa del mistero fittissimo che vede la scomparsa, se non il decesso, di ben dieci persone senza alcuna spiegazione. Viene anche convocato un esperto sommozzatore per scandagliare lo scafo in cerca di anomalie o segni sospetti, non trovando nulla di “strano".

Sarebbe inutile citare, nel tentativo di spiegare l'arcano, il diario fasullo di tale Abel Fosdyk, personaggio mai esistito che divulgò anni dopo i contenuti di un diario basato sulla sua fervida fantasia, raccontando di un attacco di squali sopraggiunti durante un bagno imprevisto, che lo avevano visto come unico superstite, fuggito alla volta delle coste nordafricane. Antiquato caso di fake news, o antesignano modo di procurarsi denaro spacciando storie inventate per veritiere. Ma è dovere di cronaca, per quanto passata.

Tra tutte le teorie - che hanno tutte previsto un abbandono della nave fantasma attraverso l'unica scialuppa dove forse era stato portato il sestante e alcune carte nautiche - quella che viene maggiormente avvalorata fu quella della combustione dei vapori dell'alcol trasportato nei barili - nove apparvero vuoti - che avrebbe indotto l'equipaggio ad abbandonare la nave per poi morire in una tempesta. Mentre speravano di raggiungere, forse, le Azzorre. La tesi induce gli inquirenti a chiudere l'inchiesta ma non verrà mai trovata traccia né della scialuppa né dei corpi di quelle dieci anime perse per sempre nell'Oceano. Pochi superstiziosi o visionari iniziano a credere al sopraggiungere del Kraken o di qualche altro mostro marino. Meno di quanti invece iniziano a sospettare di una cospirazione messa a punto dal capitano di lungo corso della nave, descritto come uomo gentile e ben visto, che avrebbe previsto l'omicidio di tutto l'equipaggio per moventi apparentemente assenti.

In seguito al dissequestro, la nave avrà numerosi proprietari, che nonostante la sua oscura storia decideranno poi di impiegarla regolarmente come mercantile per il trasporto delle merci più disparate. L'ultimo viaggio della Mary Celeste finirà su una scogliera ad Haiti nel 1885, condotta lì dal suo ultimo capitano, G. C. Parker, nel tentavo di mettere a segno una truffa assicurativa mettendo in scena un naufragio. L'inganno non solo non avrà successo, ma Parker rischierà di finire sulla forca. Salvato alla condanna a morte dalla giuria, morirà tre mesi nelle galere dimenticate di una piccola isola. I suoi due complici invece, finiranno uno in un manicomio e l'altro suicida.

Il relitto della Mary Celeste invece, giace a tutt'ora sui bassi fondali del reef. Con il suo carico di misteri irrisolti. Sepolti tra le assi di legno fradicio e scuro, che lasciano intravedere ancora la sagoma di una nave fantasma tra la sabbia bianchissima; di quelle che rimandano la memoria al tempo delle tetre leggende tramandate dai pirati che solcavano in lungo e i largo i sette mari.

mercoledì 14 novembre 2018

Portogallo, ritrovata una piramide sul fondale delle Azzorre

tratto da Il Giornale del 16 luglio 2015

La piramide si estende su una superficie di 8.000 metri quadrati ed è alta 60 metri


di Mario Valenza

Una scoperta che spiazza gli scienziati. Una piramide a circa quaranta metri di profondità nel mare delle Azzorre.

È questa la scoperta che avrebbe fatto un marinaio, come riporta la tv di Stato portoghese. La piramide si estende su una superficie di 8.000 metri quadrati ed è alta 60 metri. Silva Diocleziano, questo il nome del marinaio, con la sua nave si trovava nell’arcipelago delle Azzorre e tra le isole Terceira e San Miguel, grazie ad un grafico batimetrico, strumento che scandaglia i fondali marini, ha individuato una strana struttura nel fondale. Le leggende sull’esistenza di una civiltà preistorica avanzata, denominata comunemente Atlantide circolano da secoli e da sempre i ricercatori provano a mettersi sulle tracce dell'antica realtà. (Gallery)

Ma una scoperta davvero importante potrebbe portare ad una svolta decisiva nella ricerca della civiltà perduta. La struttura è stata localicazzata esattamente sul fondo delle acque che circondano le Azzorre, nei pressi del vulcano Dom João de Castro Bank, tra le isole di São Miguel e Terceira. Le autorità portoghesi hanno subito fatto sapere che il sito verrà analizzato dagli esperti con l'aiuto della Marina. Ma Luiz Fagundes Duarte, segretario Regionale della Pubblica Istruzione, è prudente: tenuto conto della posizione della struttura, potrebbe trattarsi di una formazione di origine naturale.

venerdì 14 settembre 2012

IGNATIUS DONNELLY, LETTERATURA E UTOPIA NEL NUOVO WEST

Friday, March 21, 2003
IGNATIUS DONNELLY, LETTERATURA E UTOPIA NEL NUOVO WEST© Copyright 2003-2013 by the author

Lo sguardo scrutatore del bibliofilo nella produzione narrativa di un autore sottovalutato dalla critica

di Simone Berni

SOMMARIO
The Golden Bottle, un romanzo sconosciuto che nel 1892 ha previsto l'ONU – Il mistero della scomparsa delle Azzorre

THE GOLDEN BOTTLE, UN ROMANZO SCONOSCIUTO CHE NEL 1892 HA PREVISTO L'ONU
ENGLISH ABSTRACT
A farm-boy dreams he is given a liquid that enables him to make gold. He uses his wealth to support a secret organization (Populist-Christian-co- op) and to finance low interest loans. His policies save America, and America saves the masses of the world.

È curioso come alcuni autori, magari popolarissimi nei loro paesi, dove il loro nome ha un “valore editoriale” che si protrae negli anni, a volte ben oltre la loro morte, siano viceversa del tutto ignorati all'estero, talvolta poco conosciuti anche dagli addetti ai lavori.
Ce n'è uno in particolare la cui conoscenza diventa basilare per chi si occupa di Atlantide e di civiltà scomparse, perché a detta di molti è a tutt'oggi l'autore più importante e rivoluzionario nell'ambito di questa materia dopo Platone. Ebbene, di questo autore americano, si trovano pochissime tracce fuori dagli Stati Uniti. Sto riferendomi ad Ignatius Donnelly.
Per molti dizionari biografici Ignatius Donnelly è poco più che qualche breve riferimento. Nato a Philadelphia nel 1831, di origine irlandese. Nel 1857 si trasferì in Minnesota assieme al suo socio John Nininger, anche lui di Philadelphia, dove cominci? il progetto di una città-ideale, Nininger City, nella Contea di Dakota . La città avrebbe dovuto situarsi lungo il fiume Mississippi, circa diciassette miglia a sud di St. Paul ma il progetto fallì.
Fu vice Governatore del Minnesota dal 1859 al 1863. Morì a Minneapolis il primo di gennaio del 1901. È sepolto nel Cimitero Calvary di St. Paul, Minnesota.
Ma se è già difficile trovare ormai citato Ignatius Donnelly nei libri su Atlantide, direi che è quasi impossibile reperire notizie circa la sua attività di romanziere. Donnelly ha infatti scritto sul finire dell'800 tre utopian novels, cioè tre romanzi di utopia. Essi sono Caesar's Column (1890), Doctor Huguet (1891) e The Golden Bottle (1892). Il carattere spiccatamente "americano" di questi scritti e il loro chiaro intento politico, li rende un materiale cristallizzato nell'epoca che li ha partoriti e per questo motivo essi hanno subito un crescente isolamento fino all'oblio vero e proprio, perpetuato anche nella stessa America. Queste storie, che pure hanno conosciuto grande popolarità ai tempi della loro uscita, soprattutto "Caesar's Column" (l'ultima edizione importante in America è del 1949), oggi appaiono misconosciute, forse addirittura incomprensibili nelle sfumature politiche e sociologiche, almeno per chi non conosca nel dettaglio la storia del Minnesota e degli stati del nord-ovest della confederazione ai tempi di Donnelly.
Io personalmente trovo questi romanzi entusiasmanti, pieni di ingenua e focosa passione, meravigliosamente fuori dal nostro tempo e senza ombra di dubbio da riscoprire, ma la mia ha tutte le caratteristiche riconosciute della classica "voce nel deserto". Nessun editore in Italia li ha mai presi sul serio. Sono sempre stati considerati un fenomeno "tipicamente americano", e come tale improponibile alle nostre latitudini. Punto e basta.
Mi sono spesso domandato una cosa. Sarebbe possibile tradurli, riproporli in una forma moderna, ma allo stesso tempo mantenere rigorosamente intatta la loro natura? Ritengo di no, è una cosa quasi impossibile. The Golden Bottle, il romanzo che tra questi prediligo, è come un mosaico nel pavimento di una cattedrale. Il suo posto è quello e non pu? essere rimosso, perché altrove sarebbe senza senso, perderebbe il suo significato originale. Diciamo che, in caso di traduzione in italiano, il libro sarebbe un prodotto per "pochi intimi", accessibile solo previa e adeguata indottrinazione. In una parola: snaturato. Non fedele ai suoi principi.
In America il romanzo The Golden Bottle fu pubblicato da D.D. Merrill Company di New York & St. Paul (Minnesota) nel 1892. Il libro è in formato sedicesimo, con una copertina rigida in tela verde scuro, fregi e titoli in oro al piatto anteriore e al dorso. La mia copia è appartenuta ad Helen A. Kellogg, una persona gentile vissuta tra i due secoli. Era forse un'insegnante, amava molto i bambini e adorava fare lunghe sortite a cavallo lungo il fiume. Non so dirvi perché, ma sento che è così.
Il libro in edizione originale è difficile da trovare, la mia copia l'ho fatta arrivare da Rochester, Minnesota, e per poco non è andata persa durante il lungo viaggio, complice una dogana disattenta e poco incline al dialogo. Salvo poche eccezioni, per me l'arrivo a buon fine di testi pregiati spediti coi servizi postali è sempre stato un problema. Talvolta irrisolvibile, come nel caso dei libri di John A. Keel, di cui ho detto nel saggio “I misteriosi libri di John A. Keel”, pubblicato su Blogger (http://johnkeel.blogspot.com/).
Prima di quest'opera Donnelly aveva già alle spalle libri famosi come "Atlantis: The Antediluvian World", "Ragnarok: The Age of Fire & Gravel" e "The Great Cryptogram", ma con The Golden Bottle si avvale di tutta la sua esperienza e produce un piccolo capolavoro d'evasione. Certo, è innegabile che il romanzo sia anche un pezzo di campagna elettorale rivolto agli interessi degli agricoltori dell'Ovest ma il libro è comunque un'utopia letteraria di fine congettura, e per questo degno di un particolare interesse. Donnelly pubblicò The Golden Bottle, dice lui stesso, «...con l'intenzione di spiegare e difendere, sotto forma di storia, alcuni ideali del Popular Party (...) Ho la speranza che l'interesse per questo libro non si spenga fino a che i propositi in esso narrati non giungano a compimento».
La storia è abbastanza semplice e allo stesso tempo di grande presa per il pubblico. Si tratta delle avventure del ragazzo Ephraim Benezet del Kansas, figlio di contadini, al quale un misterioso vecchio materializzatosi nel mezzo della notte, consegna una bottiglia miracolosa con un liquido capace di trasformare i metalli vili in oro. Discutendo sull'impatto politico e sociale di questo potere - il potere di creare nuovo denaro a piacimento (per decreto, nella realtà) - Donnelly descrisse le condizioni alle quali si erano ridotti gli agricoltori dell'ovest, vessati dalle tasse e oppressi dalla dilagante corruzione del sistema bancario, che gli precludevano la possibilità di estinguere i loro debiti. Sviluppando questo background, Donnelly enfatizzò molte delle paure dell'America rurale di fine Ottocento. Focalizzò le sue attenzioni soprattutto sul fenomeno dello spostamento delle famiglie di agricoltori verso le grandi città e sulle degradanti condizioni di lavoro delle grandi fabbriche. Donnelly denunciò anche la disonestà di una parte preponderante dell'editoria, soprattutto la diffusione di giornali e quotidiani di parte, a esclusiva difesa degli interessi dei grandi industriali.
Benezet si risveglia al mattino con davanti a sé due realtà conflittuali. Da una parte la situazione della sua famiglia, oppressa da mutui inestinguibili con le banche, e della sua dolce fiamma Sophie, anch'essa finita in rovina e costretta a emigrare coi suoi genitori. Dall'altra, la bottiglia dorata, appoggiata ai piedi del letto.
Benezet, avendo il potere di creare denaro, riesce pian piano a migliorare la sua situazione, quella della sua famiglia, degli amici, fino a capovolgere completamente le sorti per tutti gli agricoltori sia dello stato che dell'intera confederazione. Divenuto ricco e famoso, vinte le tentazioni del denaro, riuscirà a farsi eleggere presidente degli Stati Uniti. Compirà molte importanti riforme, come la concessione del voto alle donne, la nazionalizzazione delle ferrovie, l'eliminazione dei ghetti cittadini. Da non dimenticare, infatti, quanto egli vedesse di buon occhio le minoranze, i nativi americani, gli afro-americani (come si dice oggi) e gli ebrei.
Nella parte finale del libro Donnelly si occupa dei rapporti dell'America con il resto del mondo. Fa approdare Benezet in Europa, con la ferma intenzione di estendere le dottrine della Rivoluzione del 1776 a tutte le nazioni. Benezet precipita in un'Europa dilaniata dalla guerra ma ben presto si fa garante della pace, esortando le masse ad opporsi ai governi totalitari e liberando tutta l'Europa occidentale dalle dittature. Tra le altre cose, incoraggerà gli ebrei a stabilire uno stato in Palestina.
Per garantire la pace sia sul vecchio che sul nuovo mondo costituirà un'organizzazione apposita, che egli chiamerà The Universal Republic. La sede di questa organizzazione mondiale sarà nelle Azzorre, cioè sulla "punta di Atlantide", come aveva affermato dieci anni prima nella sua famosa opera Atlantis: The Antediluvian World (New York: Harper & Brothers, 1882). La capitale scelta da Benezet è situata nell'isola di S. Michael, che verrà appositamente acquistata dal "piccolo regno del Portogallo".
Il libro si chiude con il giovane protagonista che si risveglia dal suo sogno. Riprecipita al cospetto della cruda realtà, e si trova costretto a fare i bagagli e abbandonare la sua fattoria, oppresso dalla situazione economica. Dovrà così cominciare a lavorare per il mondo di ideali e d'utopia che ha appena sognato. Senza la bottiglia dorata, però.
Tra le utopistiche visioni di Donnelly quella che colpisce di più è l'aver concepito l'ONU con oltre mezzo secolo d'anticipo, dimostrando come a livello inconscio già a quei tempi si avvertisse la necessità di un organismo sovra-nazionale teso a vigilare le sorti del mondo.
«The Golden Bottle - dice Donnelly - fu scritto di fretta, per la maggior parte sulle mie ginocchia durante i frequenti spostamenti in treno a causa della campagna di governatore del Minnesota». E nelle stanze di albergo che lo ospitavano di volta in volta».
The Golden Bottle usc? sia in versione hard cover, cioè con copertina rigida, che in paper cover (paperback), vale a dire con copertina morbida e in ogni caso non fu ristampato. Ne esiste una sola edizione, quella del 1892. Evidentemente il libro fu visto solo come un'edizione propagandistica, non ebbe un riscontro favorevole e fu presto dimenticato. Nel secondo dopoguerra è stato valorizzato solo a livello universitario. In Canada, Stati Uniti ed Australia ci sono infatti vari studiosi e ricercatori che hanno trattato le opere di Ignatius Donnelly, suddividendo la sua produzione in tre filoni principali: Atlantide, Bacone e Utopia.
Recentemente mi sono procurato un'edizione in lingua svedese, di cui non sospettavo neppure l'esistenza. Il libro in questione è "Den Gyldene Flaskan" (Stockholm: Loostr?m & Komp:s, 1893). Il formato del volume è simile a quello dell'edizione americana, il colore predominante della copertina è anche in questo caso il verde scuro. È la precisa traduzione dell'originale, a cura di Victor Pfeiff. Il libro uscì probabilmente sulla scia del successo di Caesar's Column, che in Svezia ebbe tre edizioni nello spazio di un anno, curiosamente con tre titoli differenti: Caesars kolonn (1891); Varldens undergang (1891); Civilisationens Undergang (1892).
Di Ignatius Donnelly e della sua passione per Bacone (e dell'antipatia per Shakespeare) mi occuperò in un prossimo articolo, quello dedicato alle “Cronache dell'incredibile”.
Anche Doctor Huguet (Chicago: F.J. Schulte & Co.), apparso l'anno prima di The Golden Bottle, è un romanzo utopistico dalle interessanti implicazioni. Lo scambio di personalità fra due protagonisti (in genere tipi opposti) come espediente narrativo diverrà un classico, e sarà ripreso più volte nel secolo successivo sia in letteratura che nel cinema. La critica fu assai sfavorevole e anche se nel 1899 Donnelly si vanterà di essere arrivato alla quinta edizione, alcuni suoi biografi sono dell'idea che il numero fu più basso. E' certo però che le edizioni furono almeno tre.
Donnelly usa la formula dello pseudonimo, Edmund Boisgilbert, lo stesso di Caesar's Column, ma sia nella copertina che nel frontespizio appare il suo nome per esteso, cos? che non ci possano essere dubbi sull'identità dell'autore.
Dei tre romanzi utopistici di Donnelly, solo Caesar's Column ebbe un certo successo editoriale, con 60.000 copie vendute solamente nell'anno di uscita, il 1890, e traduzioni in vari paesi. Donnelly lo scrisse in meno di cinque mesi e lo sottopose subito ad Harper & Brothers di New York, con il quale aveva già pubblicato Atlantis, ma questi lo rifiutò. Così come lo rifiutarono, uno dopo l'altro, Scribner's, Houghton Mifflin, Appleton e A.C. McClurg, che anzi lo videro come un incitamento alla rivoluzione. Donnelly però? conobbe un nuovo editore, appena trasferitosi a Chicago, Francis J. Schulte, che si dimostrò entusiasta del lavoro, ne comprese la portata e lo fece uscire nell'aprile del 1890, suggerendo comunque di usare uno pseudonimo, che poi fu Edmund Boisgilbert, M.D. Le duemila copie della prima tiratura si esaurirono in un lampo e fu subito ristampato. In autunno il libro fece la sua uscita anche in Europa, per conto di Sampson Low, Marston & Co. di Londra.

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA DELLE AZZORRE
Mi sia concesso adesso un po' di svago.
Sulla scia della lettura, per me un'autentica scoperta, di The Golden Bottle, ho costruito la trama di un romanzo surreale. Ho immaginato che, dopo essermi addormentato con il libro di Donnelly, al risveglio scopro che le Azzorre sono sparite. Sì, proprio le isole al largo della costa portoghese dove Ephraim Benezet vi aveva collocato The Universal Republic, l’Onu ante litteram. Voi vi chiederete: «in che senso, sparite?» Ve lo dico subito. Cancellate, come non fossero mai esistite. Se io prendevo un atlante o una mappa geografica e cercavo le Azzorre nel punto in cui ci sono le Azzorre, non le trovavo più. Solo tanta acqua. Cos? telefonavo agli amici, uno c'era stato addirittura in viaggio di nozze anni addietro, e gli dicevo: «Ehi, ti ricordi le Azzorre in luna di miele, belle vero?». E lui: «Le che...? Sono stato alle Canarie, scemo!» E io: «Sì, ma delle Azzorre che ne pensi?» E lui, credendo che lo volessi prendere in giro inventandomi un posto che non c'è: «Ah, belle belle e anche le Bluturchine, che isole! Dovresti andarci!»
Ora, tutto questo potrà apparire comico. Ma nella realtà io venivo colto da un terrore crescente. Cominciavo a credere di essere in preda a terribili allucinazioni, visto che tutto lasciava supporre che fossi l'unico a pensare che esistessero queste isole. Gli altri non le avevano mai sentite nominare. Il loro stesso nome era un non senso. In nessun posto, in nessun luogo c'era una traccia, anche solo una, dell'esistenza di queste isole.
Dopo settimane di ricerche, in biblioteca, all'università, nelle agenzie turistiche, avevo dovuto alzare bandiera bianca. Un gruppo di isole al largo del Portogallo chiamato Azzorre non c'era e non c'era mai stato. Era tutto nella mia testa. Anni fa, chissà quando, dovevo aver sognato questa cosa e da allora l'avevo creduta reale, costruendoci sopra un castello di riferimenti sempre più grande e complesso.
Ma nella realtà il crollo di questo castello non aveva prodotto alcun fragore. L'esistenza o meno di queste isole era un fatto puramente formale per me. In fondo, cosa cambiava nella mia vita? Non mi ci sarei mai recato, almeno non di mia spontanea volontà; non conoscevo nessuno che abitasse laggiù; inoltre, nessun progetto della mia vita, vicino o lontano, aveva a che fare, seppure di riflesso, con le Azzorre. In realtà esse non erano mai veramente esistite per me, neanche negli anni durante i quali le ritenevo reali a tutti gli effetti.
Il castello di riferimenti che avevo costruito mentalmente attorno alle Azzorre era però molto vasto. Il libro di Donnelly, per esempio, non solo era scomparso. Non risultava che Ignatius Donnelly lo avesse mai scritto. Tutti i testi riportavano l'informazione che il politico del Minnesota aveva scritto in vita due novelle d'utopia, Caesar's Column e Doctor Huguet. Di questa Golden Bottle non c'era traccia da nessuna parte. «Curioso - mi disse un docente di letteratura americana - lo sai Donnelly avrebbe potuto scrivere davvero una storia come quella che mi ha raccontato! Sarebbe stata proprio nel suo stile. Peccato che non l'abbia fatto, avrebbe avuto un grande successo».
«Non credo, dissi io, la critica l'avrebbe stroncata senza pietà e ne sarebbe uscita una sola edizione. Un fiasco totale, mi creda». Mi lanciò un'occhiata perplessa.
Da allora la mia vita è cambiata. Sì, non solo perché le Azzorre sono sparite dalla mia vita - e da quella di tutti quanti, ma perché è sparita la sicurezza, la certezza di vivere una vita logica e sensata. Sono sempre in attesa di una nuova sparizione e temo che stavolta possa essere di grande portata. Qualcosa di così grande ed eclatante da riuscire a portarmi alla pazzia.
Fu così, dopo questa presa di coscienza, come per incanto, che realizzai come nella vita noi viviamo pensando di conoscere ma che in realtà la nostra conoscenza è frutto della collettività. Noi sappiamo in quanto apprendiamo e condividiamo le informazioni. Tante cose che si danno per scontate, pur non avendole mai viste, potrebbero sparire da un momento all'altro. E con esse parte dei nostri ricordi, parte della nostra vita. Non è terribile tutto questo? Si, lo è, ma non c’è modo di evitarlo. In nessuna maniera.
© Simone Berni 2003