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sabato 23 settembre 2017

Così i misteri greci hanno sfidato (e sconfitto) la morte

tratto da "il Giornale" di Sab, 16/09/2017

di Claudio Risé

Il senso più profondo e nascosto degli antichi riti iniziatici è l'avvicinamento della dimensione umana a quella divina


Educare non significa trasmettere meccanicamente ai giovani nozioni e discorsi, come fanno i sedicenti filosofi. Nell'educazione è necessario invece risvegliare in loro una vista interiore, un occhio spirituale, attraverso un'autentica conversione psicologica.

 A sostenerlo è Socrate, quando illustra il suo famoso mito della caverna, ne La Repubblica di Platone. Davide Susanetti, giovane e generosamente impegnato professore di letteratura greca all'Università di Padova, riporta ampiamente la testimonianza socratica, illustrando la funzione dei misteri e riti iniziatici dell'antica Grecia nel suo ultimo lavoro: La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione (Carocci, pagg. 264, euro 24). Un libro che unisce una scrittura catturante all'attenzione per l'aspetto pratico e psicodinamico delle questioni trattate, decisive anche oggi nella vita quotidiana dell'uomo.

Distogliere - come insegna a fare Socrate - lo sguardo dall'attenzione ipnotica per movimenti di fantasmi inconsistenti, illuminati dai nascosti poteri che in continuazione li muovono, e scoprire invece la realtà, è una vera e propria «tecnica della conversione» che ci consente di vedere ciò che è, ma è rimasto per noi finora nell'oscurità, dietro le nostre spalle. Apprenderla fa parte di quelle «tecnologie del sé» con le quali Michel Foucault verso la fine del secolo scorso aveva conquistato la Sorbona.

A questo svelamento delle verità profonde dell'esistenza erano appunto dedicati i misteri, riti iniziatici volti nella Grecia classica a formare i giovani prescelti preparandoli alla guida della città, la polis, attraverso la conoscenza e la trasformazione di sé. Un'operazione che sarebbe indispensabile anche oggi, come nell'Atene classica, per educare un'autentica élite dirigente. Che viene invece a mancare quando questa formazione, estremamente seria nella sua apparente stravaganza (come del resto appariva Socrate), viene abbandonata per inseguire le vanità, le paure e le cupidigie più basse, sostituite alla familiarità con i saperi elevati, di cui ci parlano appunto gli dei nei loro misteri.

Certo, gli dei non raccontano storielle leggere. Anche perché l'obiettivo dei riti iniziatici è proprio quello di farci diventare come loro, gli dei. Di aiutarci a riconoscere la nostra parte divina. Per questo è necessario fare nei misteri esperienza della realtà profonda, uscendo da quella vita umana, convenzionale ma in fondo irreale, nella quale rimane la grande maggioranza delle persone. I misteri, fin dagli antichi maestri Orfeo e Pitagora, furono il modo di trasmettere agli iniziati accuratamente selezionati il sapere esoterico sottostante alla civiltà greca, e le sue segrete regole e discipline. Un controcanto sotterraneo alla rappresentazione della religione olimpica ufficiale e alle istituzioni greche (fondative dell'Occidente), che in questo modo le ha comunque profondamente impregnate con le proprie immagini e rappresentazioni.

Il tratto comune ai misteri è quello che riguarda la morte, in essi sempre presente e invece non particolarmente approfondita nella religione olimpica, dove i morti erano spettri, ombre senza direzione, «teste senza forza» come in Omero. Nella rappresentazione misterica la morte è invece un evento centrale: lo stesso iniziato partecipandovi abbandona, «muore» al precedente stato di coscienza e di vita per rinascere con un'altra visione del mondo. Ma soprattutto grazie a questo terribile percorso, «non morrà». «Per gli iniziati, e solo per loro, vi è vita dopo la morte», spiega Susanetti. Come racconta l'iscrizione su un'orfica laminetta aurea: «O felice, o beato, sarai un dio anziché un mortale». «Ed io, come un capretto, mi tuffai nel latte». La morte fisica non è dunque per l'iniziato un passaggio al «regno delle ombre», ma l'ingresso in una condizione luminosa e serena. Sugli iniziati di Eleusi splende «la sacra luce del sole». E quelli che hanno partecipato al mistero diffuso nelle terre a nord ovest della Britannia, raccontato da Plutarco ne Il volto della luna (Adelphi) e qui riportato, entreranno dopo morti nel «prato di Ade... la zona più mite e serena dell'aria, dove le anime tornano a respirare e si purificano da ogni vapore e da ogni malsana esalazione della materia».

La purificazione e respirazione dello Spirito è appunto lo scopo dei misteri iniziatici greci, le prime forme di quel processo di trasformazione psicologica e spirituale che da Pitagora e dai suoi discepoli attraversa gran parte della visione del mondo classico, per arrivare al pensiero stoico greco e romano. E compare poi tra le sue ultime forme, con non molte variazioni, nel «processo di individuazione» proposto nel secolo scorso da Carl Gustav Jung con la sua psicologia analitica. Un percorso, quest'ultimo, che, pur senza entrare nelle credenze religiose, incontra spesso nel lavoro con l'analizzando l'altro grande mistero di morte e di rinascita che nei due millenni trascorsi ha conquistato nel mondo le anime di molti uomini. Quello che racconta della nascita, vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. In analisi l'incontro con questo mistero avviene spesso sincronicamente al transito dai territori psicologici dell'Anima, terra di mezzo tra psiche e spirito, a quelli già vicini al Sé, spesso espressione dell'immagine divina.

«Un rito - dice Susanetti parlando dei misteri greci - che conduce alla vita portando la vita al di là di se stessa». In tutte queste esperienze spirituali, fisiche e psicologiche, è infatti descritto un andare al di là, un oltrepassare soglie di coscienza comuni, che consente di costituirne di nuove, dando spazio agli aspetti superiori della vita umana attraverso un nuovo, completo rapporto con la realtà. Che nelle drammatiche esperienze misteriche viene vista e attraversata integralmente, non più solo parzialmente nei suoi aspetti convenzionali e a-problematici, ma nella sua tragica interezza. Così, nei misteri di Eleusi, mentre la tenera vergine Persefone, figlia della potente Demetra, Dea madre della terra, gioca con le amiche raccogliendo narcisi sul prato primaverile, la terra si apre davanti a lei e ne esce con un tuono il carro di Ade, il dio del sottosuolo, degli inferi, della morte e del passato, trasportandola sotto terra, per farne la sua sposa. Demetra, disperata, minaccia di interrompere i cicli della terra e delle messi, e solo la mostra dei genitali di una vecchia donna, Baubo, riuscirà a farla tornare a ridere. Aprendo così la strada al difficile accordo che lascerà Persefone per sei mesi sulla terra e tre nel sottosuolo, come sposa di Ade.

Con contenuti diversi, gli altri Misteri, quelli orfici e dionisiaci, sono tutti però diretti a unificare gli opposti, alto e basso, femminile e maschile, vita e morte, umano e animale, nobile e osceno, intero e frammentato, integrandone le rispettive energie in una nuova sintesi, più realistica e dunque anche più autenticamente spirituale. Riti e percorsi di formazione e rinascita della persona e del mondo in cui si trova che interpellano insistentemente anche il mondo di oggi.

mercoledì 9 agosto 2017

Sterile nell'anima e nel corpo. L'Europa è una terra desolata

tratto da il Giornale del 29 giugno 2017

Il poeta Eliot profetizzò le malattie dell'inconscio dovute al materialismo. Guarire si può: con una «Vita selvatica»

di Cluadio Risé

La più efficace rappresentazione della modernità occidentale: questo è La terra desolata di Eliot per Ezra Pound. Non si tratta infatti solo di un'opera poetica. I suoi versi hanno anche un contenuto profetico; non soltanto perché descrivono i morti sul London Bridge 96 anni prima dell'attacco di venti giorni fa.

Questi morti Eliot li vede camminare sul ponte con «gli occhi fissi ai piedi». Il loro sguardo (come il nostro oggi), vola basso. In un tempo ormai di post secolarizzazione, dove tutto il mondo torna a guardare verso l'alto, l'Occidente non sa più riconoscere di essere figlio di Dio e prendersi la propria quota di divinità. Così mentre ovunque Dio è forza, visione, obiettivi, noi lo viviamo come un peso da nascondere. Mentre per gli altri è energia (distruttiva se non governata), l'Occidente, come intuì James Hillman, ha trasformato Dio in malattia. La nostra visione è attirata dal basso, dove vanno gran parte delle nostre energie.

La terra desolata, però, non riguarda solo noi oggi. È un archetipo dell'inconscio collettivo, un'immagine da sempre presente nella psiche e storia umana, che si attiva in tempi di forte cambiamento. Attraverso di essa l'inconscio collettivo spinge l'uomo a ritrovare una forza vitale perduta, a guarire malattie che corrodono la sua anima, il suo corpo e la sua vita quotidiana. Era già presente, come racconta Eliot, nell'Europa del 1200, cui si riferiscono le leggende e i miti Arturiani. Epoca di ricerca, cambiamento e fondazione di quella che fu poi per cinquecento anni la civiltà occidentale, coinvolgendo nei suoi sviluppi gran parte del mondo.

La terra desolata ci fa sentire che qualcosa di molto prezioso sta sbocciando, ma rischia di andare perduto se non riconosciamo le cause dell'attuale desolazione. È una sfida forte posta all'uomo dal proprio tempo; riguarda sia le personalità individuali che la società e il mondo in cui vivono.

C'è un ordine da ricostituire: Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre? si chiede il Re Pescatore. La situazione gli impone di riconoscere la difficoltà dello sviluppo, della germinazione di nuove cose, da distinguere da quelle morte, da abbandonare. La terra desolata di Eliot, comincia proprio con un mese di germinazione e di sviluppo.

Aprile è il mese più crudele, generando/ Lillà da terra morta, confondendo/ Memoria e desiderio, risvegliando/ radici dormienti con piogge primaverili.

Nell'immagine della Terra desolata nel poema come nell'archetipo, e dunque nella vita che si svolge sotto la sua influenza sono sempre compresenti le forze della generazione e della vita, e della morte e decomposizione. Da qui deriva l'energia delle immagini archetipiche. Tra questi poli la coscienza dell'uomo è ora chiamata a scegliere, altrimenti si può sviluppare regressione e malattia, anche psichica.

La terra del Graal, l'Europa dove nelle leggende tardo-medievali regna il Re Pescatore, sovrano della cristianità, è appunto attraversata da questo potente conflitto. Si tratta dell'eterno scontro tra la soddisfazione del piacere immediato e lo sviluppo di capacità di simbolizzazione, e di sacrificio per visioni più ampie, non egoistiche e di lungo periodo.

In questa lotta, che è anche un conflitto passionale per la donna (rappresentazione anche dell'Anima maschile) il re viene ferito da un potente nemico, un cavaliere moro. La ferita è in mezzo alle gambe, nel luogo della sua generatività e della fallicità. Il re, Amfortas, ha sottovalutato sia il proprio l'accecamento passionale, che la forza dell'avversario: per questo è stato ferito. L'aspetto emotivo e femminile della sua psiche invece di essere una forza ispiratrice ha preso il sopravvento sulla coscienza maschile soffocandone la tensione verso l'alto e consentendo la ferita. Dalla quale si perde il suo sangue, e si genera marcescenza e putredine.

A partire dal corpo e dallo spirito del re l'aridità conquista ogni spazio vitale attorno rendendo desolata la terra. Il calo della fertilità, la compravendita di parti del corpo e funzionalità riproduttive, la molteplicità di problemi sessuali che affliggono i cittadini della modernità traducono in cronaca quotidiana le conseguenze della ferita del Re Pescatore, ubriacato dalla sua superficialità. Con lui, ferito all'inguine, nella sua sessualità e virilità, è l'uomo occidentale, protagonista di La terra desolata di Eliot. Siamo noi.

Per riportare l'ordine non solo nelle terre del re pescatore, ma tra femminile e maschile, e tra terra e cielo, allora come oggi, nella terra desolata è decisivo l'amore. Ma vero. Ne parlano due miti fondatori dell'Occidente: Tristano e Isotta, ispiratori di Eliot. In entrambi si parla di amore e di sacrificio, indispensabili alla crescita personale e al benessere di tutti. Al centro dei due miti c'è un potente simbolo femminile: una coppa. Tristano e Isotta, presi dall'attrazione, ne bevono e muoiono.

Nel racconto Tristano sta accompagnando Isotta da re Marc di Cornovaglia, cui la fanciulla è promessa. Durante la navigazione, in un momento di caldo e grandissima sete (classico scenario da «demone meridiano») l'accompagnatrice di Isotta versa una bevanda a Tristano. Il giovane beve, e porge la coppa a Isotta. Subito i due sono presi dal bisogno di andare l'una verso l'altro, fisicamente e sessualmente. Il liquido della coppa era un filtro di erbe che era stato affidato alla serva dalla madre di Isotta. Da questo imprigionamento i due giovani non usciranno vivi. Nelle narrazioni dell'epoca percepiscono subito che si tratta di una spinta non d'amore, ma di morte. Come Isotta racconta nel trovatore Béroul: «Lui non mi ama/ né io lui / Accadde per un filtro da cui bevvi / e così per lui».

Il veleno agisce sui due giovani trasformando il loro innamoramento innocente nella spinta ad agire subito la loro attrazione, irresistibile dopo la bevanda. Così l'aspetto distruttivo dell'archetipo della Grande Madre (che può essere positiva e vitale, oppure distruggere), incline all'agito immediato più che alla simbolizzazione, sostituisce al matrimonio fecondo del Re, propiziato dall'amato nipote Tristano, il potere della droga e la morte dei due giovani, che lascerà senza discendenza il Re Marc.

Anche Parsifal ha una madre invadente, Herzeloide, che alleva questo figlio lontano dal mondo della cavalleria, chiudendolo in una tenuta, perché non vuole che muoia come il padre e i fratelli. Parsifal però la lascia quando viene invitato alla reggia di Artù, e la madre muore di crepacuore. Dolore difficile da elaborare, ma salvifico per il re pescatore, che guarirà solo quando il «puro folle» Parsifal gli porrà la domanda risanante: «dimmi, cosa ti strugge?» Prendendo così su di sé la sofferenza dell'altro, e in questo modo guarendo la terra dalla sua aridità e desolazione.

Anche nel Parsifal c'è una coppa, sulla base della quale compare appunto il suo nome. Ma è quella del Graal, dove è stato versato il sangue di Cristo dopo la sua passione, promessa di risurrezione. Per rinascere, infatti, per rigenerarsi, occorre avere il coraggio di attraversare la morte.

Ogni profonda trasformazione, sul piano simbolico, lo richiede. Soprattutto nella civiltà fondata su Gesù Cristo: risorto appunto perché capace di morire.