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martedì 23 aprile 2019

Pinocchio in Scandinavia: le radici della favola nel Kalevala e nell’Edda

Segnaliamo questo interessante articolo in cui si descrivono le possibili fonti della mitologia nordica a cui si sarebbe ispirato Carlo Collodi nella stesura del suo Pinocchio. L'articolo è pubblicato sul sito Axis Mundi ed è scritto da Piervittorio Formichetti. Buona lettura:

https://axismundi.blog/2019/03/24/pinocchio-in-scandinavia-le-radici-della-favola-nel-kalevala-e-nelledda/

venerdì 25 marzo 2016

Ecco Kullervo, il primo mito di JRR Tolkien

tratto da "Il Giornale" del 06/03/2016

di Daniele Abbiati

Una saga nordica con momenti shakespeariani

Quando Tolkien non era ancora Tolkien né ipotizzava di diventarlo, s'imbattè nell'opera che l'avrebbe trasformato in ciò che è (il presente storico è il tempo che si addice ai creatori di mondi come lui).

Nel 1911, diciannovenne studente alla King Edward's School di Birmingham, legge un barbarico, enigmatico, ancestrale poema epico composto intorno al 1835 dal filologo finlandese Elias Lönnrot sulla base di antichi canti popolari finnici. Si chiama Kalevala. La narrazione lo intriga assai e, insoddisfatto dalla traduzione di W.F. Kirby, appena giunto all'Exeter College di Oxford, sul finire dello stesso anno, munito di una ponderosa Finnish Grammar si mette a studiare il finlandese per gustarla nell'edizione originale. Fallisce: «respinto con gravi perdite», annota. Ma, fallendo, vince. Perché prima di partire soldato per la Francia, nel '16, ha già scritto La storia di Kullervo, il primo passo del futuro professor Tolkien nell'universo tolkieniano. E oggi possiamo gustarlo a nostra volta, quell'esordio, nell'edizione Bompiani (pagg. 248, euro 19, a cura di Verlyn Flieger, trad. Luca Manini, dal 17 marzo in libreria).Per farlo, dobbiamo toglierci dalla testa gli arcadici paesaggi del Signore degli Anelli, i motteggi di Bilbo Baggins, il magico candore della principessa Arwen, e anche gli Orchi della Terra di Mezzo. Qui siamo in una dimensione fuori dal tempo e fuori dal Bene e dal Male, «quando la magia era ancora giovane». Qui non c'è colpa e non c'è redenzione, non c'è merito né premio. Qui l'uomo è ancora bestiale nel godimento e nella sofferenza e al limite, varcando in extremis il confine che lo separa da quella che Platone chiamava la «seconda navigazione», fatta con la Ragione che si mette ai remi, una volta calato il vento della Natura, avverte il peso della vergogna.

«Il passato universale dell'uomo: questo dobbiamo cercare nel Kalevala», disse Tolkien, ormai ex cathedra, a proposito del suo esordio. E ancora: «L'Europa ha perso troppo e troppo spesso nel tentativo di costruire templi greci». Non era la protesta di un anglosassone nei confronti della supremazia mediterranea in tema di miti fondanti, bensì l'esortazione a scavare sotto l'apollineo e sotto il dionisiaco, fino alle radici sub-umane dell'umanità. Per questo aveva scelto di dar voce, pescando nel mare magnum del Kalevala, a un eroe selvatico, tormentato, spiantato, quasi wagneriano. Kullervo, al quale l'autore attingerà a piene mani per creare il Túrin Turambar di I figli di Húrin, vede suo padre Kalervo, sorta di Abele, trucidato dal Caino Untamo. Poi, separato dalla sorella Wanona, subisce le violenze dello zio che per tre volte tenta di eliminarlo annegandolo, bruciandolo e impiccandolo, e si vendica sulla zia-arpia. Suoi unici alleati, il coltello e un magico cane nero parlante. Vaga per lande desolate e per boschi bui, si smarca dal dispotismo del fabbro Asemo fino a che un drammatico incontro con la madre rediviva gli rivela, in un finale shakespeariano, l'unica degna via di fuga dall'amara verità.

L'intera opera di Tolkien è segnata da una missione: ritrovare l'Anello di un'epica da regalare alla sua Patria. E il punto di partenza di tutto Tolkien, la prima pietra miliare sul sentiero che l'ha condotto alla selva oscura trasformata quasi in un luna park dalle rivisitazioni moderne, è in queste pagine figlie di un popolo ignoto, nel lessico animistico di questi «trogloditi», come li chiama lui. L'alba dell'Uomo prima del tramonto dell'Occidente.Daniele Abbiati




martedì 15 ottobre 2013

La mitologia del Kalevala


La mitologia del Kalevala è la traduzione del saggio del professor Juha Pentikäinen Kalevalan maailma. Con l’edizione americana (Kalevala Mythology) ha ottenuto il celebre Premio Internazionale di Etnostoria Pitré-Salomone Marino, il Nobel dell’Antropologia Culturale. Si tratta di uno dei più dettagliati studi interdisciplinari sul Kalevala, il poema epico finlandese pubblicato dall’etnologo Elias Lönnrot nel 1835. Il saggio di Pentikäinen rivela i complessi processi culturali che hanno reso il Kalevala un classico della letteratura mondiale. Tratta inoltre: la nascita degli studi folklorici e mitologici in Finlandia, le personali ideologie di Elias Lönnrot e i suoi viaggi etnografici, l’importanza dei più celebri cantori (alcuni dei quali incontrati personalmente dall’autore), il successo del Kalevala in patria e all’estero, l’importanza del poema per il futuro movimento indipendentista. Diversi capitoli di questo splendido saggio sono dedicati all’interpretazione del contenuto mitologico dei canti e le teorie di Pentikäinen evidenziano l’importanza dei contenuti magici e sciamanici nell’epica finnica. Egli ha svolto ricerche approfondite con gli sciamani siberiani e il prestigioso Chicago Folklore Price (1978) ha premiato un suo saggio sui canti della cantrice Marina Takalo.
La Mitologia del Kalevala è diventato un classico non solo per coloro che sono interessati alla mitologia finnica, ma anche per chi vuole comprendere il ruolo dell’epica nelle complesse dinamiche culturali del Romanticismo.


Sostanzialmente si tratta di un saggio multidisciplinare, che sfrutta i punti di vista della critica letteraria, della storia, dell'antropologia, per illustrare come e perché sia nato un unicum letterario come il poema di Lönnrot. Perché esso sia nato proprio in Finlandia. Perché sia nato proprio in un momento storico come il Romanticismo. Il volume è riccamente annotato; vi sono 5 appendici; un'introduzione del professore americano Ben Amos; 35 illustrazioni. Si tratta di una pubblicazione di grande formato (15x23 cm, come i bestseller americani) e cartonata. 328 pagine. Prezzo di copertina € 18,90. La traduzione italiana è l'ultima in ordine di tempo e, a quanto pare, anche la più aggiornata. Il testo riporta numerosi stralci della corrispondenza di Lönnrot (mai tradotti prima in Italia), più parecchi versi della classica traduzione italiana del Kalevala di Emilio Pavolini e altri versi tratti dal Vecchio Kalevala del 1835 (mai tradotto).
L'autore del saggio (accompagnato dal traduttore Vesa Matteo Piludu) sarà in Italia per un primo "tour" di presentazioni dal 20 al 28 ottobre. Il ciclo inizierà a Torino (Teatro Vittoria) e terminerà presso il Tirtha di Verona (via Tremolè 18 - Pescantina) il giorno 28 alle ore 20,30.


domenica 28 ottobre 2012

Ritorna l'epico «Kalevala» Il poema che ha reso la Finlandia una nazione

Tratto da Il Giornale del 3 maggio 2010


di Giuseppe Conte

Nel primo cinquantennio dell'Ottocento, un medico e filologo, cultore
appassionato della mitologia e della lingua del suo popolo, quello finlandese,
vaga per i villaggi più sperduti e raccoglie dalla viva voce di cantori leggende
e cosmogonie, per poi trascriverle e ordinarle in un complesso grandioso che
rappresenta l'ultimo tra i poemi epici e tra i libri sacri dell'umanità. Il
medico filologo si chiama Elias Lönnrot. Il poema è il Kalevala, che oggi
riappare in una nuova traduzione integrale presso le Edizioni Mediterranee
(Kalevala, pagg.378, euro 24,50; a cura di Marcello Ganassini).



Vale davvero la pena di immergersi in questo flusso straordinario di avventure
cosmiche, guerriere, magiche, sciamaniche. Il mito dimostra ancora qui la sua
potenza fondatrice. Ai tempi di Elias Lönnrot la Finlandia faceva parte della
Russia imperiale, e vi si parlavano, come lingue ufficiali, il russo e lo
svedese. Fu il lavoro apparentemente impossibile, quasi assurdo di Lönnrot e di
un gruppo di intellettuali imbevuti di spirito romantico a creare il finlandese
moderno e la Finlandia come Paese indipendente.
Un poema epico e pieno di potenza lirica e fiabesca messo insieme meno di due
secoli fa è il fondamento del Paese avanzato che oggi produce tecnologia tra la
più apprezzata al mondo. E il mito dimostra qui anche la sua intrinseca bellezza
di «canto dell'universo», come lo definiva Joseph Campbell, il mitologo cui ha
guardato come un maestro George Lucas mentre concepiva la saga di Guerre
stellari. Nel prologo cosmogonico dei primi due canti, o runi, viene descritta
Ilmatar, la grande madre, che stanca della sua esistenza di solitudine entra in
mare e viene fecondata dal vento e dalle onde. La sua gravidanza dura settecento
anni. Poi invoca Ukko, il dio supremo, e allora una anatra va a deporre le uova,
sei d'oro e una di ferro, nel suo grembo. Quando le uova si aprono, nascono dal
guscio il cielo e la terra e dal tuorlo il sole. Ma il suo ventre contiene anche
Vainamoinen, che vi resta trenta estati e trenta inverni prima di uscire nel
mare, e poi va alla deriva altri cinque anni sino a fermarsi a contemplare la
luna, il sole e le stelle. Vainamoinen è eroe e anche aedo, innamorato e
guerriero, sapiente e sciamano. È la voce pervasiva che regge tutto il poema
nella sua complessità. Accanto a lui, Ilmarinen, un fabbro che canta l'origine
magica e controversa del ferro, e che si sottopone per amore alle prove più
dure, arare un campo di serpi, catturare l'orso Tuoni e il lupo Manala, pescare
il terribile luccio del fiume Tuonela. Rimasto vedovo, Ilmarinen si costruisce
invano una compagna d'oro e d'argento. Lemminkainen è l'eroe birbante, bello,
spensierato, seduttore. Quando viene ucciso e gettato a pezzi in un fiume, il
pettine che ha lasciato nella casa natale sanguina, e sua madre può iniziare
l'opera di ricerca e di ricomposizione della salma, mettendo insieme i vari
pezzi con l'aiuto di Suonar, dea responsabile della circolazione sanguigna, e
poi di un'ape, «anima leggera», «agile creatura», che va a prendere in cielo il
nettare per ridare all'eroe la parola oltre che la vita.
Contro i tre eroi, si staglia Louhi, la signora di Pohjola, nemica insidiosa
perché può ricorrere ad arti magiche e inviare tra gli abitanti di Kalevala
epidemie che producono orribili piaghe e l'orso che divora il bestiame; e può
arrivare persino a nascondere il sole e la luna e a privare il popolo del fuoco.
La guerra si sposta dal terreno delle armi a quello della potenza sciamanica. Ma
non c'è solo guerra nel Kalevala.
Mirabili le descrizioni del risveglio della terra (l'eco delle quali ho
avvertito in Knut Hamsun), il tono fiabesco della madre che consiglia alla
figlia una dieta di bellezza come questa: «mangia buon burro per un
anno:/diventerai più florida delle altre;/ carne di maiale l'anno
dopo:/diventerai più graziosa delle altre» o l'episodio tragico dell'incesto
boschivo di Kullervo. C'è qui lo spirito etico che Carlyle riconoscerà nel mito
nordico svalutato da Goethe rispetto a quello greco-romano. E infine l'avvento,
con Marijatta e il suo bambino divino incoronato re, della nuova sapienza
cristiana, con la malinconica fuga di Vainamoinen su una barca di rame verso un
esilio che dura ancora.