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sabato 14 gennaio 2017

Cento anni fa con Rasputin moriva la Russia zarista

tratto da "Il Giornale" del 30 dicembre 2016

Fu assassinato a Palazzo Mojka da un complotto di aristocratici che ne temevano l'ascendente sulla zarina. Il racconto della sua morte ne alimentò la leggenda nera. La profezia (avverata) sullo zar Nicola: "Se mi uccidono i nobili, nessuno di voi rimarrà in vita entro due anni".

di Giovanni Vasso

Giusto cento anni fa moriva Grigorij Efimovich Rasputin, il 30 dicembre 1916, nella notte tra il 16 e il 17 dicembre secondo il calendario giuliano in uso nella Russia del tempo.

Immagine tratta da Wikipedia di pubblico dominio
A seguito di una congiura, di un attentato al Palazzo Mojka di San Pietroburgo, la cui memoria contribuirà – e non poco – a costruire la fama sinistra e occulta dello starec venuto da Pokrovskoe. Per ammazzarlo, il principe Jusupov e i suoi complici dovettero – nell’ordine – prima avvelenarlo coi pasticcini al cianuro, poi sparargli e infine gettare il corpo (davvero privo di vita?) nel fiume Malaya Nevka. Tutto in una notte, infinita e drammatica, in cui si compì la prima parte di quella sua profezia destinata, poi, ad avverarsi tragicamente nei tumulti della rivoluzione d’Ottobre.

Sfrenato, ammaliatore, seducente, carismatico. L’icona che lo ritrae è impressa a fuoco nell’immaginario collettivo: capellacci lunghissimi e corvini, barba nerissima e stopposa, occhi gelidi e penetranti, la mano che si alza a benedire o si posa sul petto nel tentativo di mitigare, con un gesto che richiama la prassi religiosa, l’infuocato vitalismo sfrenato che emana in un'aurea mistica e maledetta. Popolare, legatissimo alle origini contadine. La leggenda che in questo senso meglio ne riassume la vulgata che poi di lui è nata è quella del suo presunto priapismo grazie al quale avrebbe conquistato, secondo i maligni (e non furono pochi), i favori di nobildonne e gentili dame grazie alle quali sarebbe riuscito a compiere una scalata senza pari in un ambiente politico e sociale, come quello della Russia zarista, che definire sclerotico è davvero poco.
Fu al centro di cento scandali e sempre ebbe la benigna indulgenza della zarina Alessandra, a lui devotissima perché convinta che il monaco avesse salvato da morte certa – con le sue preghiere e i suoi pretesi poteri taumaturgici – il figlioletto, lo tsarievich Aleksej, affetto da emofilia. Per lei, Rasputin era “l’uomo inviato da Dio” e avrebbe desiderato che suo marito, lo zar Nicola, gli prestasse un po’ d’ascolto. Specialmente quando gli sconsigliò di entrare in guerra. Anche perché le sue profezie si sarebbero tutte avverate, ma questo la zarina non poteva ancora saperlo.

Come riporta nella biografia che gli ha dedicato lo storico franco-armeno Henry Troyat citando Aron Simanovic, Rasputin lo aveva detto e scritto quale sarebbe stato il destino suo e della Russia: “Se vengo ucciso da volgari assassini, in particolare dai miei fratelli contadini, tu, Zar di Russia, non avrai nulla da temere per i tuoi figli: regneranno per secoli. Ma se invece vengo ucciso da boiardi, se i nobili verseranno il mio sangue, le loro mani resteranno insanguinate per venticinque anni. Dovranno lasciare la Russia. I fratelli si scaglieranno contro i fratelli, si uccideranno a vicenda e si odieranno e per venticinque anni non vi saranno più nobili nel paese. Zar della terra russa, quando udrai il suono della campana che annuncia l’assassinio di Grigorij sappi che se è stato un tuo parente a provocare la mia morte, tutti i tuoi, compresi i tuoi stessi figli, non vivranno oltre due anni. Saranno uccisi dal popolo russo”. In un'altra (pretesa) profezia, Rasputin (che fu sempre contrario all'entrata in guerra della Russia nel '14) asserì che il sangue dei mugiki, dei poveri contadini russi mandati al macello sulle trincee della Prima guerra mondiale, sarebbe ricaduto non sui nobili e sui generali ("che si ingrassano e se ne fregano") ma sulla famiglia reale. "Lo Zar è il padre dei mugiki e il loro sangue e la collera di Dio cadranno su di lui". Un richiamo, questo, che sembra avere un importante significato politico attualizzabile in ogni tempo, anche nel nostro: chi ha responsabilità di governo non può e non deve ignorare il popolo per fare ciò che chiedono le élites.

E andò proprio così come il monaco pazzo aveva preconizzato. Perché se a San Pietroburgo si festeggiò, nei salotti, alla notizia della morte di Rasputin, nelle campagne il popolo reagì male. Era stato, come dice ancora Troyat, il contadino che più di tutti s'era avvicinato al trono. Era, nonostante tutto, uno di loro. E lo avevano ucciso. Con Rasputin, ucciso dal complotto degli aristocratici nel palazzo della cugina dello zar, morirà e con lui scomparirà un mondo bizantino di icone, formalismi e caste ormai svuotato da ogni senso e travolto dal fuoco della rivoluzione che trasformerà San Pietroburgo in Leningrado. Il principe Feliks Jusupov, padrone del Palazzo della Mojka e coinvolto nel complotto, morirà anch'egli. Ma in esilio a Parigi, lontanissimo dai fasti di una corte che ormai non c'era più, nel 1967.

La figura di Rasputin, criticata e apertamente bistrattata dai politici, dal clero ortodosso diventerà popolarissima seppure con l'alone malvagio di una leggenda nerissima, più nera della sua stessa barba. La sua figura, quasi a sublimarsi nel cliché letterario del romanzo gotico del monaco pazzo, divenne popolarissima in tutto il mondo.

A Rasputin si sono ispirati in moltissimi, da Hugo Pratt che sullo starec disegnerà uno dei personaggi più popolari delle storie di Corto Maltese (insieme a Ungern, ricalcato da Pratt su Roman Fiodorovic Ungern von Sternberg, il "barone pazzo", che fu l'ultimo generale bianco costretto alla sconfitta dall'ormai vittoriosa Armata Rossa, in Mongolia) fino alla musica pop e al cinema oltre che una sterminata letteratura.