lunedì 16 aprile 2012

Il Golem e Frankenstein

tratto da ilgenioquotidiano del 18 febbraio 2012:

http://www.ilgenioquotidiano.com/2012/02/il-golem-e-frankenstein.html

di Vito Foschi

Introduzione
Nella letteratura fantastica spesso si ritrova la figura del cosiddetto mad doctor ovvero dello scienziato pazzo che con i suoi folli progetti mette in pericolo l’umanità(...)


 Questa figura simboleggia il rapporto ambivalente che si ha con la scienza, da un lato vista come progresso e risoluzione di ancestrali problemi quali fame e malattie e dall’altra vista con negatività per le bombe nucleari,  l’inquinamento, metodi di lavoro poco consoni ai ritmi biologici umani e soprattutto caratteristica forse dominante e che la rende estranea all’uomo medio, la difficoltà a capirla. In fondo il mad doctor materializza la paura che l’uomo ha della scienza come di qualcosa di ignoto e di estraneo.
Inoltre, e caratteristica forse più inquietante, è che spesso lo scienziato viene visto come posseduto da un sorta delirio di onnipotenza, delirio che lo porta a voler essere come Dio e quindi creatore lui stesso, violando le leggi del creato, ma anche regoli morali e leggi dello stato. Recenti polemiche sulla libertà della ricerca rendono bene l’idea di come il problema sia di forte attualità.
A volte lo scienziato sembra talmente impegnato nella sua ricerca da dimenticarsi che quella ricerca è per l’uomo e non contro l’uomo. Ciò lo si può vedere in campo medico dove a volte i pazienti preferiscono non sottoporsi a terapie devastanti e morire dignitosamente non riuscendo a far comprendere tale scelta all’uomo di scienza di turno.



Il dottor Frankenstein
Uno dei primi scienziati pazzi nella letteratura è il dottor Victor Frankenstein del romanzo omonimo di Mary Shelley che non a caso ha come il sottotitolo “Il moderno Prometeo”. Questo racconto è emblematico del rapporto che l’uomo moderno ha con la scienza e parliamo dell’ottocento quando la scienza moderna era agli albori, ma che al contrario del secolo successivo aveva come sentimento dominante una fiducia nella scienza ed un’altrettanto idiosincrasia per la superstizione e la religione
in generale. Nel romanzo quello che spaventa ed inorridisce è la sfida del dottor Frankenstein alle leggi della vita, infatti costruisce un essere vivente partendo da pezzi di cadavere animandoli con l’elettricità. È la sfida a Dio, per questo il Prometeo moderno. L’uso dell’elettricità come strumento per animare la carne morta si spiega facilmente nella diffusione all’inizio dell’ottocento di articoli
sui cosiddetti esperimenti galvanici, ovvero di come tramite archetti elettrici si potesse far muovere i muscoli di un cadavere dando l’impressione di una rianimazione. In particolare in un articolo del 1803 di Giovanni Aladini, nipote di Luigi Galvani, si paventava la possibilità di riportare in vita un cadavere. L’autrice del romanzo, Mary Shelley, conobbe sicuramente queste teorie perché discusse con il marito e lord Byron di un articolo di Madame De Stael di cui si parlava «del principio della vita che potrebbe essere scoperto e degli scienziati che avrebbero potuto galvanizzare un corpo umano ricostruito».


I paradigmi culturali dominanti
Non possiamo non far riferimento alle teorie di Kuhn sui paradigmi culturali dominanti in un periodo che finiscono per influenzare nel bene e nel male tutta la cultura del periodo. Nei primi dell’ottocento il paradigma dominante era quello dell’elettricità, o meglio del galvanismo, come dimostrato dalle discussione fra i coniugi Shelley e Lord Byron, ovvero andava di moda, come oggi il paradigma dominante è la genetica e la biologia in generale così come vent’anni fa era il computer e cinquant’anni fa l’energia nucleare.
Se pensiamo ai problemi etici sollevati dalla biologia su temi quali le cellule staminali o la riproduzione assistita, il problema non cambia di molto: è sempre la sfida alle leggi della natura o per chi è più religioso la sfida alle leggi di Dio.
Oltre a questi problemi, quello che crea timore nella scienza, come detto è la sua difficile comprensibilità per l’uomo comune. Insomma la scienza per i più è un qualcosa di esoterico. E l’uso di questo termine è voluto per tracciare un parallelismo con un’altra materia propriamente esoterica: la magia. Potrebbe essere un accostamento azzardato ma ha un suo senso perché scienza e magia dall’uomo comune sono viste un po’ alla stessa maniera: due materie estranee, oscure, riservate ad un gruppo ristretto, un’elite, spesso vista intenta a sfidare le leggi della natura ed a manipolare l’uomo solo per soddisfare la propria bramosia di denaro e potere. In fondo i vari simboli matematici, le formule chimiche, i programmi per computer e i vari termini tecnici per i profani possono sembrare tante formule magiche.


La leggenda del Golem
Un esempio di questo parallelismo lo possiamo trovare nella leggenda del Golem. Nella Bibbia è scritto come Dio crea l’uomo dal fango e questo dato è stato poi elaborato nel corso dei secoli dalla qabbala ebraica, fino a giungere a pensare di poter creare la vita dal fango. La leggenda nella sua essenza racconta di come un rabbino tramite delle formule magiche riesca ad animare una statua di fango, il Golem, letteralmente materia informe o massa amorfa, che può essere considerato uno stato intermedio fra la materia e la vita, vita che solo il soffio di Dio può dare. La leggenda è molto diffusa nel medioevo, forse in parallelo con l’homunculus alchemico, altro confronto possibile, e ne esistono varie versioni che il tempo non ha a fatto che aumentare. Le più note hanno protagonista Judah Lowe ben Bezael, realmente esistito, rabbino in Praga, città magica per eccellenza.
Fra le tante, due sono le più diffuse ed interessanti. In una di queste il rabbino crea un Golem gigantesco per usarlo come aiutante nei lavori dei campi e lo anima inserendogli nel petto una stella di Davide con i nomi segreti di Dio. Per evitare che il Golem lavori di sabato, giorno sacro dedicato al riposo per gli ebrei, si preoccupa di rimuovergli la stella magica dal petto ogni venerdì sera ritrasformandolo in una semplice statua d’argilla. Un venerdì sera distratto da altri impegni il rabbino dimentica di togliere la stella, quando si accorse del fatto rincorse il gigante che nel frattempo si era messo in giro per le strade del ghetto e trovatolo gli strappò la stella dal petto facendolo cadere in mille pezzi.
Come si nota dal racconto c’è sempre la paura di violare i limiti imposti da Dio, in questo caso di violare il riposo del sabato. Più interessante è un’altra versione in cui il rabbino Lowe crea il Golem per difendere gli ebrei del ghetto dai pogrom. Nel racconto il rabbino si fa ricevere dall’imperatore e dà dimostrazione dei suoi poteri ed infine dimostra la forza della sua creatura che sorregge il palazzo che stava crollando salvando l’imperatore e la sua corte. Da quel momento il rabbino non riesce più a controllare il Golem che incomincia a girovagare per le strade del ghetto di Praga travolgendo con la sua mole ciò che incontrava fintanto che un bambino per nulla spaventato dall’essere si lascia avvicinare dal gigante e attratto dal luccichio della stella magica la strappa determinandone la distruzione.
Anche questa versione presenta quella paura di creare qualcosa che violi l’ordine del creato e che infine si riveli dannosa per l’uomo stesso, quasi a volerlo punire dell’arroganza di voler essere come Dio.
Le leggende del Golem sembrano svolgersi in parallelo alla storia di Frankstein: in tutti e due casi c’è un personaggio che sfida le leggi di Dio per creare la vita e poi la sua creazione gli sfugge dal controllo causando disastri.


Conclusioni
Se riprendiamo le teorie di Kuhn sui paradigmi culturali dominanti dobbiamo ricordare che nel lontano passato l’uomo come elemento costruttivo usava il fango per la casa e l’argilla per costruire vasi e questo spiegherebbe, sempre secondo Kuhn, perché Dio nella Bibbia così come in altre cosmologie antiche, crea l’uomo dal fango e non in altro modo. Nell’ottocento il paradigma dominante era l’elettricità ma le paure dell’uomo sono rimaste le stesse nel corso dei secoli. Per completare si potrebbero citare i tanti libri di fantascienza, fumetti e i cartoni animati dove dei robot costruiti dall’uomo prendono vita e si ribellano al loro creatore. Ricordo solo un cartone animato di circa trent’anni fa che anche visivamente ricorda la storia di Frankenstein: Kyashan. In questo cartone c’è uno scienziato che si occupa di robotica che “casualmente” vive in un castello e costruisce dei robot che in una notte di tempesta vengono colpiti dai fulmini e prendono vita e decidono di ribellarsi al proprio creatore e di conquistare il mondo. La scena come potete immaginare è molto simile a quelle viste nei tanti film su Frankenstein.
Una curiosità riguarda la presunta discendenza dal rabbino Lowe degli scienziati von Neumann, inventore dell’architettura degli attuali computer, di Norbert Wiener, inventore della cibernetica e di Marvin Minsky uno dei padri dell’intelligenza artificiale.
Qualcuno potrebbe trovare irriguardoso questo parallelo fra scienza e magia, ma se si pensa al passato non si può non pensare che nella loro diversità i loro ruoli sociali possano essere considerati simili.

lunedì 9 aprile 2012

Nuovo numero della rivista Lex Aurea

Dopo un po' di tempo riprende la pubblicazione la rivista Lex Aurea che potete scaricare gratuitamente al seguente indirizzo:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea41.HTM

Il laboratorio del dott. Frankenstein

 


In questo libro non incontreremo il Big-foot né il Sasquatch, lasceremo ‘in panchina’ la già citata (o citato?) Nessie e anche il povero ‘abominevole uomo delle nevi’, sempre più abominevole e sempre meno documentabile. Troppo… ‘facile’!

No, nulla di tutto questo. Ci affacceremo dapprima nel vero ‘Laboratorio’ di qualche Dr. Frankenstein realmente esistito e poi scruteremo nei meandri di una strana villa, ai confini con la Liguria, in cui operò un geniale ( o folle?) medico di origine russa, alla perenne ricerca di qualcosa che potesse avvicinare l’Uomo all’eternità.

Vedremo in seguito a quali esperimenti si dedicarono Luigi Galvani e Giovanni Aldini nel tentativo di correlare le attività biologiche con i nascenti studi sull’elettricità ma poi esploreremo anche i meandri della mente di ‘mostri’ assassini forse affetti da ‘Licantropia’, osserveremo con un misto di pietà e meraviglia alcuni poveri individui affetti da impensabili, mostruose patologie e faremo finta di credere, per un momento, anche all’esistenza di ‘Anatre vegetali’, di ‘Agnelli che nascono sugli alberi’ e del ‘Cavallo di Dio’, l’elegante, incredibile ‘Unicorno’

Non mancherà una rapida, curiosa rassegna di ‘mostri a go-go’, a cavallo tra leggende metropolitane d’ogni tempo e Paese e reali possibilità che da qualche parte, ‘qualcosa’ di mostruosamente vero esista…

EREMON EDIZIONI, Aprile 2011

Dello stesso Autore


mercoledì 4 aprile 2012

HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI

Vi segnaliamo la versione elettronica dell'HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI, curata dal MIT press. Ricordiamo anche che qualche anno fa ne è uscita una versione cartacea per i tipi dell'Adelphi.

Eccovi il link:

http://mitpress.mit.edu/e-books/HP/hyp000.htm


lunedì 2 aprile 2012

QUEL SAGGIO MITOLOGICO SULLA DEA VENETA

tratto da L'Indipendenza
http://www.lindipendenza.com/dea-veneta/

di REDAZIONE
 
Generalmente, al vertice delle antiche gerarchie mitologiche c’era una divinità maschile, come Giove oppure Odino. Presso i Veneti era differente: pur dislocati in distanti regioni d’Europa essi sempre veneravano una Dea suprema, come Jiva nel Baltico o Reitia nell’Alto Adriatico e nelle Alpi Orientali. In realtà Reitia è una dea misteriosa; reggeva una chiave e probabilmente aveva per compagni il lupo e l’anatra, ma assai poco è noto su questa dea veneta ed i suoi riti religiosi. L’aspetto più importante del culto erano i roghi votivi associati ai banchetti votivi e ciò risulta molto simile ai costumi micenei, come pure lo è l’usanza funeraria dell’incinerazione dei morti.

Famosa è la teoria di Felice Vinci circa la localizzazione della guerra di Troia nel Baltico anziché nel Mar Egeo, basata sull’osservazione delle incongruenze climatiche e geografiche dei poemi omerici. Il libro “La Dea veneta” riabilita questa teoria da un nuovo punto di vista, sicché i protagonisti della guerra non sono più i Danesi (come Felice Vinci asserisce) ma le popolazioni venetiche del Baltico. Infatti, nel XIII secolo a.C. ci fu una migrazione dalla regione baltica del fiume Vistola in direzione Nord-Est esattamente verso dove Felice Vinci pone la città di Troia e tale migrazione era associata all’introduzione di un nuovo costume funerario evidente nella locale Cultura dei Campi di Urne, che è un segno di presenza venetica.


Nella letteratura mondiale fiumi di inchiostro sono stati usati per celebrare la leggenda di re Artù e tutti questi libri, senza eccezioni, prendono spunto dal pregiudizio di un’origine “celtica” del mito: ma non ci sono prove storiche a riguardo e tali congetture nascono solo dall’ambito di alcuni “circoli culturali” francesi. Se consideriamo con attenzione la localizzazione geografica delle avventure dei cavalieri di re Artù, una nuova interpretazione viene spontanea alla mente. Effettivamente questi luoghi erano ben circoscritti alla Bretagna, dove Giulio Cesare sconfisse la potente flotta dei Veneti, inoltre, nel Nord del Galles, erano limitati alla Venedotia, secondo Jean Markale un antico e stabile insediamento dei Veneti, e limitati anche al Gwent, nel Galles meridionale, ove i Veneti approdarono secondo l’illustre storico navale Philip Banbury.
Il libro è un saggio di argomento mitologico, il libro La dea veneta è un prezioso testo di consultazione sui miti e sul culto misterioso dei Veneti antichi. La trattazione è arricchita da numerose mappe e figure a colori che illustrano le basi archeologiche, linguistiche e storiche d’epoca pre-romana non solo del Veneto, ma anche delle altre sedi europee abitate da Veneti. Assume particolare rilievo la presenza veneta in Bretagna, in relazione al mito di re Artù, e la presenza dei Veneti nel Baltico, confrontata con la tesi di Felici Vinci (per il quale l’Iliade sarebbe legata al Mar Baltico).

TITOLO: La Dea Veneta; AUTORE: Piero Favero; EDITORE: Cierre grafica; PAGINE: 195;

martedì 14 febbraio 2012

Simbolismo e mitologia del grifone

di Vito Foschi
 
Il grifone è un animale mitologico formato dall’unione di un’aquila nella parte anteriore e da un leone nella parte posteriore. Le rappresentazioni, a parte questa base comune variano un po’. 

A volte la parte aquilina riguarda solo la testa e le ali, mentre altre volte anche le zampe anteriori risultano piumate e dotate d’artigli; in alcune raffigurazioni il grifone a posto della coda ha un serpente e le orecchie di cavallo. Le rappresentazioni del grifone sono molte antiche e le ritroviamo dal medio oriente a tutto il mondo occidentale. La più antica immagine dell’animale è stata trovata in Iran su un sigillo risalente al 3000 AC. Nelle leggende e nei miti il grifone ha assunto varie funzioni, da quello di guardiano a creatura demoniaca, fino a trasformarsi da simbolo della superbia a simbolo del Cristo nel Medioevo.


Il grifone riassume le qualità positive del leone e dell’aquila accomunati dalla maestosità e dalla fierezza e considerati, in un’ideale gerarchia, al di sopra degli altri animali. Il grifo riassumendo in sé i due animali diviene sovrano del cielo e della terra. Nel medioevo questa doppia natura terrena e celeste ne fece simbolo del Cristo, Uomo e Dio insieme. A livello allegorico l’aquila rappresenta l’intelligenza per la sua capacità di guardare lontano, il leone la forza e il coraggio e il serpente la furbizia e quindi il grifo è un simbolo di completezza, la forza guidata dalla intelligenza ed aiutata dalla furbizia per svelare gli inganni.

In epoca precristiana il grifone era simbolo di superbia in basa ad una leggenda in cui si narra di come Alessandro, ormai padrone di un impero che si estendeva oltre la vista utilizzasse dei grifoni per potersi sollevare da terra ed osservare i suoi territori. A tal proposito bisogna dire che nelle leggende, Alessandro Magno per quanto venga descritto come un grande condottiero è sempre presentato come mancante di un quid per farlo assurgere ad una completezza ideale. Per la tesi valgono l’episodio del nodo di Gordio tagliato e non sciolto e quello della fontana della giovinezza trovata da un suo compagno e non da lui.

Un altro simbolismo legato alla doppia natura del mitico animale è quello di essere un ponte fra cielo e terra, un tramite, uno strumento per avvicinarsi ai cieli. Il suo ruolo di tramite è evidente dall’essere nei miti greci la cavalcatura di varie divinità come Apollo, lo stesso Zeus, padre degli dei, Nemesi la Dea della vendetta e Oceano, ma esistono anche raffigurazioni in cui è cavalcato da Dioniso o da Eros. È evidente che il capo degli dei non poteva cha cavalcare l’animale che racchiude il massimo del cielo e della terra. Dal IV A.C. il grifone accompagna Dioniso nelle vesti di divinità sotterranea. A Pompei ritroviamo l’animale in una tomba su un medaglione a rilievo in stucco cavalcato da Eros. In queste immagini è evidente il ruolo di animale psicopompo (che conduce le anime nell’oltretomba), confermando il suo ruolo di tramite tra mondi diversi, anche se in questo caso da un mondo superiore ad uno inferiore.

In altre leggende i grifoni abitano i monti Rifei, da cui il loro nome, dove estraggano oro, mentre in altre sono custodi di tesori ed in particolare posti a guardia dell’oro del leggendario popolo degli Iperborei. La diffusione dei racconti dei grifi custodi dei tesori è testimoniato anche dalla presenza di elementi architettonici a loro forma. In passato era uso posizionare dei paracarri a protezione degli ingressi dei palazzi e per esempio in Torino era invalso l’uso di paracarri decorativi in ghisa tra cui abbastanza diffusa è la forma del grifone assiso con o senza una sfera fra le zampe a ideale protezione della casa.
tratto da Il Genio Quotidiano del martedì 13 dicembre 2011:
http://www.ilgenioquotidiano.com/2011/12/simbolismo-e-mitologia-del-grifone.html