mercoledì 13 novembre 2013

Lex Aurea 49

Vi segnaliamo il numero 49 della rivista esoterica Lex Aurea che contiene un articolo di Vito Foschi di cui potete leggere altri contributi nel blog. Il link da cui poter scaricare è questo qui:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea49.pdf

lunedì 11 novembre 2013

DANTE E LA “DOTTRINA CHE S’ASCONDE / SOTTO ’L VELAME DE LI VERSI STRANI”

tratto da L'Indipendenza del 10 giugno 2012
http://www.lindipendenza.com/dante-galileo-chiesa/

di PAOLO ZANOTTO
 
Per chi, come lo scrivente, respinge i cardini del materialismo storico-dialettico, gli eventi umani non rappresentano unicamente le meccaniche conseguenze di azioni meramente pratiche e contingenti, bensì l’espressione di moti ideali. Sulla base di tale premessa, acquisiscono un’importanza fondamentale le differenti impostazioni culturali; a volte determinate, certamente, da cause immanenti, ma latrici di istanze universali. La formazione culturale di un individuo, come ben sanno coloro che hanno monopolizzato il settore dell’istruzione e dell’informazione, risulta decisiva. A contribuirvi concorrono numerose concause, fra le quali quelle di carattere esplicitamente politico-sociale non rappresentano che una semplice porzione. Al fianco dell’influsso esercitato da filosofi, politologi, politici, giornalisti, c’è quello giocato da poeti, romanzieri, scienziati. 
Per coloro che respingono un indottrinamento da parte delle correnti di pensiero dominanti quest’ultimo si rivela come il più subdolo ed insidioso, giacché alcune teorie scacciate dalla porta potrebbero fare il loro pericoloso ingresso dallo spiraglio di una finestra lasciata socchiusa sul retro.
A tale proposito si è inteso tracciare una sorta di lista dei “buoni” e dei “cattivi” maestri, che possa rivelarsi d’aiuto nell’ardua impresa di ritagliarsi i margini indispensabili per fare delle buone letture nel poco tempo libero a disposizione, se non di rimediare all’opera di “controformazione”. Si tratta di una lista senza pretese, in quanto chi scrive non s’illude certo di possedere gli strumenti adeguati per suggerire alcunché a nessuno, se non a se stesso. Essa si configura, allora, come una riflessione a voce alta; quasi come una sorta di divertissement, al quale ciascuno possa contribuire in un esercizio corale (perché no?) per accrescere questo elenco, del quale il presente articolo costituisce soltanto l’incipit di una serie limitata.
I nomi famosi che hanno contribuito a segnare, nel bene o nel male, pietre miliari della storia umana sono numerosi. Per non attribuire ai ritratti una connotazione eminentemente “negativa”, si è pensato di prendere le mosse da un esempio alto e imprescindibile: Dante Alighieri. Tuttavia, l’insidia procede dalla deviazione. È lì, pertanto, che occorre soffermarsi. Pensando alle teorie da criticare, la mente spazia velocemente (la Verità è unica, l’errore molteplice). Ecco che sopraggiungono, fra i primi, i nomi di Martin Luther (sia il “re” che il monaco agostiniano); Sigmund Freud, il padre della psicanalisi; Arnold Toynbee, il morfologo della Storia, di cui bisognerà senza dubbio occuparsi. Innanzi tutto, però, hanno influito sui recenti avvenimenti politico-sociali alcuni personaggi che vengono solitamente indicati come capisaldi indiscussi del moderno pensiero occidentale: nobili scienziati o filantropi disinteressati e impegnati nel tentativo di emancipare l’Uomo dalle catene che lo imprigionano dall’eternità. E, forse, si riuscirà a far emergere come non tutto ciò che luccica è oro.

La Commedia oltre Benigni
«Io veggio ben che giammai non si sazia / Nostro intelletto, se il Ver non lo illustra, / Di fuor del qual nessun vero si spazia». Dante Alighieri, Paradiso, IV, 124-126. 
Tutti rammentano — anche perché ne è stato fatto un caso nazionale — le performance catodiche di Roberto Benigni in prima serata, nelle quali il comico toscano recitò alcuni versi scritti dal suo celebre compatriota Dante Alighieri. Ma ben prima che Benigni scoprisse che esisteva la Divina Commedia e si piccasse di farne scempio in diretta televisiva (checché ne pensino stimati ingegni, questo rimane un modesto giudizio personale), qualcun altro aveva già pronunciato la propria Lectura Dantis di fronte a ben altro uditorio rispetto a quello che affolla i programmi della TV di Stato. Si trattava di Luigi Valli, docente di filosofia morale presso l’Università di Roma, che il giorno 4 marzo del 1906 illustrò ad un folta platea il canto XIX del Paradiso nella sala del Collegio Nazareno. Negli anni seguenti, il Valli avrebbe scritto numerose opere nelle quali si esponeva “Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore»”, come recitava il suo ultimo e più completo lavoro, pubblicato a Roma nel 1928 dalle edizioni Optima.
Con tali studi, pur non abbandonando il metodo storico d’impronta positivistica, egli si poneva nel solco dell’interpretazione “tradizionale” dell’opera dantesca. In Italia, gli inziatori di questo filone — che privilegiava il messaggio “esoterico”, recuperando lo spirito in voga nel Medioevo — erano stati in modo particolare Michelangelo Caetani e Giovanni Pascoli. Nel 1852, infatti, Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta, aveva pubblicato una breve nota, di una ventina di pagine, intitolata “Della dottrina che si asconde nell’ottavo e nono canto dell’Inferno della Commedia di Dante Alighieri”, uscita a Roma presso l’editore Menicanti, cui sarebbero seguite altre ricerche nella medesima direzione. Quarant’anni più tardi, il Pascoli aveva raccolto questa singolare interpretazione del Poema Sacro in opere come Minerva Oscura, Sotto il Velame o La mirabile visione. In esse il poeta romagnolo dava conto degli aspetti esoterici dell’opera scritta dall’Alighieri.
Lo studio del Valli, unico per concezione e per metodologia di costruzione, giungeva a compimento di alcune ricerche che già da lungo tempo il docente romano portava avanti. Il libro, poi, sarebbe stato integrato, due anni più tardi, da un secondo scritto dedicato alle «Discussioni e note aggiunte»; entrambe le opere, pubblicate in un unico volume nel 1994 dalla casa editrice Luni di Milano, sono state ristampate. Il lavoro del Valli s’interrompeva qui, sopraggiungendo la morte improvvisa nel 1931. Il suo grande merito rimane quello di aver fornito una chiave interpretativa «prossima a un metodo matematico», secondo le sue stesse parole, di quei poemi ed oscurissimi scritti composti dai maggiori uomini di lettere d’epoca medioevale: Guinizelli, Cavalcanti, Boccaccio, Petrarca ed altri ancora, oltre allo stesso Dante.
Nel 1925 anche il celebre iniziato René Guénon si era interessato a questi studi dedicati alla Divina Commedia, prendendo le mosse da alcuni scritti che il cattolico francese Eugéne Aroux aveva steso a partire dal 1854, ispirandosi a sua volta alle intuizioni avute da Ugo Foscolo e Gabriele Rossetti. Pur senza alcuna pretesa di sistematicità, dopo aver esaminato le analogie e le corrispondenze con gli ordini cavallereschi, il Rosicrucianesimo, l’ermetismo, l’Islam e fedele al principio secondo il quale le somiglianze, in realtà, dimostrerebbero unicamente «l’unità dottrinale comune a tutte le tradizioni», il Guénon procedeva ad una geometrica esposizione del simbolismo intrinseco ad alcuni temi cruciali dell’opera scritta dal grande poeta fiorentino: i tre mondi, i numeri, il tempo. L’Inferno appariva, così, come ricapitolazione di quegli stati che precedono logicamente la condizione umana, nonché quale manifestazione delle possibilità di ordine inferiore che l’essere reca ancora dentro di sé. Il Purgatorio veniva dipinto, invece, quale prolungamento dello stato umano ed il Paradiso come ascesa agli stati superiori dell’essere. Sulla stessa linea, il celeberrimo «mezzo del cammin di nostra vita» diveniva occasione per una magistrale spiegazione del “centro” secondo un simbolismo che si rifletteva, con perfetta simmetria, nel tempo e nello spazio, nella dottrina dei cicli cosmici basata sulla precessione degli equinozi e nella struttura tripartita dell’universo dantesco.
Sempre nella medesima prospettiva andrebbero inquadrate anche le riflessioni che egli fece in relazione ai famosi versi: «O voi, che avete gl’intelletti sani, / Mirate la dottrina che s’asconde / Sotto il velame degli versi strani» (Inferno, IX, 61-63). Secondo quanto affermato dal noto scrittore Alfredo Cattabiani, recentemente scomparso, anche qui Guénon proiettava le proprie idee ed impressioni riguardo all’opera dantesca, la quale del resto continua tutt’oggi a suscitare svariate considerazioni a causa del proprio legame con l’associazione della «Fede santa» — della quale il poeta fiorentino sembra fosse una delle guide — con l’ermetismo e perfino con la tradizione islamica; gli spunti “arabi” contenuti in quell’opera formidabile di allegoria cristiana, così attentamente rilevati anche dal Padre Asin Palacios fin dai primi del secolo scorso, sono la testimonianza di una profonda e rispettosa relazione fra civiltà cristiana e mondo musulmano, confermata anche dalle analogie fra il “viaggio” dantesco dall’Inferno al Paradiso sia rispetto a quello che è possibile ritrovare nel Kitâb el-isrà (Libro del viaggio notturno che fece Maometto), sia alle Fûtûhât el-Mekkihah (Rivelazioni della Mecca) di Mohyîddîn ibn ’Arabî: opere pubblicate circa ottant’anni prima della Divina Commedia.
Tali considerazioni dischiudevano problematiche di portata talmente ampia e profonda che la loro comprensione potrebbe arrivare a mettere in discussione perfino alcuni dei cardini su cui si fonda la scienza moderna. Dalle criptiche parole di Dante, infatti, è possibile evincere talune informazioni sia di ordine fisico che metafisico, intendendosi con il termine “metafisico” — secondo l’etimo stesso, prezioso in simili congiunture — ciò che va “al di là della natura”, ossia “soprannaturale” nel senso più pregnante del termine. D’altronde, in un “viaggio ultraterreno” le implicazioni di ordine metafisico sono quelle in cui è più logico imbattersi. Tuttavia, la loro complessità è tale che non concede una trattazione sintetica e, tanto meno, divulgativa.
Per quanto, senza dubbio, ciò non abbia minimamente sfiorato la mente del Benigni — troppo intento a dimostrare sofisticamente, a uomini di Chiesa, il valore evocativo dell’imprecazione per quei “maledetti toscani” di cui egli è insigne rappresentante — la dottrina esposta da Dante è ben lungi dall’esaurirsi in una tanto materiale celebrazione della donna e dell’amore passionale. Al contrario, il valore simbolico delle allegorie contenute nella Commedia è talmente portentoso che l’effetto plastico della poesia altro non si rivela se non opportuno filtro artistico il quale, solo, può esprimere in maniera tanto immediata e compiuta una così complessa verità. Chi, infatti, consideri le terzine dantesche come una semplice fantasia non ne coglie affatto il reale significato, osservava giustamente Titus Burckhardt. Allo stesso modo, chi anche ne riconoscesse il contenuto dottrinario riducendola, però, soltanto ad una costruzione concettuale sotto forma di poema non le renderebbe giustizia. La Commedia è ben altro che Sigieri di Brabante messo in rima. Essa è pura arte sacra. Qui l’artista non è “inventore”, ma semplice “tramite” (metaxú avrebbe detto Platone) fra il mondo sensibile e la verità superiore che percepisce. Qui i versi non scaturiscono da una mera ispirazione, bensì da una vera e propria “illuminazione”. Ma questo i Benigni che popolano gli studi televisivi in prima serata, per quanto si sforzino in un esercizio mnemonico sul XXXIII canto del Paradiso, non potranno mai arrivare a comprenderlo se non mutano prospettiva d’osservazione.
Ma, tornando alle implicazioni teoriche di cui si diceva, conviene osservare qualcuna di esse più nel dettaglio. Per quanto il rischio di eccessiva semplificazione riguardi anche le tematiche più prossime alla realtà sensibile, in questo caso si può perlomeno tentare di abbozzare alcune considerazioni in merito ad un unico esempio. Sia concessa, dunque, una breve digressione. È stato osservato come, nonostante l’”ingenuità scientifica” del sistema geocentrico, che viene espresso nella Divina Commedia con l’immagine delle “sfere celesti”, a tale ipotesi cosmologica inerisca pur sempre un profondo realismo metafisico. Il sistema tolemaico, del resto, godeva di una notevole chiarezza spirituale. Per l’epoca in cui esso venne utilizzato, la sua rispondenza scientifica era perfettamente soddisfacente, in quanto forniva una risposta a tutti i quesiti che l’osservazione del mondo naturale suscitava ed è fin troppo evidente che la “scientificità” non può certo avere un grado maggiore. Essa deterrà sempre e comunque, in maniera inevitabile, un carattere unicamente provvisorio. La validità relativa di un sistema del mondo si basa sulla sua unità logica, mentre la sua portata spirituale si fonda sulla sua simbologia. Pertanto, si deve concludere che la Chiesa cattolica, quando pretendeva che Galileo presentasse le proprie teorie relative al moto della terra e del sole come semplici ipotesi, anziché quali verità definitive ed inconfutabili, aveva senza dubbio le sue buone ragioni. Da un punto di vista assoluto, infatti, il sistema elaborato da Copernico non poteva essere nulla di più che una semplice congettura ipotetica, come hanno dimostrato tesi successive (non ultima la ‘relatività’ einsteiniana che, per chi le attribuisca un qualche valore, l’ha confutato). D’altronde, il compito principale della Chiesa consisteva nella salvaguardia di una visione spiritualmente veritiera del mondo. E tale esigenza trovava piena soddisfazione nel sistema omocentrico, che preservava dal pericolo derivante da una concezione puramente matematico-meccanicistica delle cose.
Occorre, a questo punto, cogliere lo spunto per formulare qualche considerazione di tipo storico. Troppo raramente viene rilevato come l’autorità ecclesiastica non abbia ripudiato la teoria eliocentrica al momento della sua formulazione da parte di Copernico, bensì solo ottant’anni più tardi quando se ne appropriò Galilei, peraltro senza aggiungervi alcun particolare significativo ai fini della sua dimostrazione scientifica. Va, anzi, incidentalmente rilevato come, prima ancora che a Copernico, la teoria rimontasse ad Iceta di Siracusa. Inoltre, con l’immagine dei cori angelici roteanti attorno al centro divino, Dante medesimo anticipava il senso del sistema eliocentrico: per dirla con Aristotele, la fonte di ogni luce è, al tempo stesso, il “motore immobile” dell’ordinamento cosmico. A tal proposito, non bisogna mai perdere di vista la quadruplice possibilità interpretativa di un testo: Gerusalemme, che in senso letterale è una città della Palestina; allegoricamente rappresenta l’immagine della Chiesa; moralmente diviene l’anima credente; e anagogicamente costituisce la Gerusalemme celeste, archetipo dell’anima e del mondo, contenuto nello spirito divino, per non limitarsi che ad un esempio classico.
Il conflitto fra Galileo e la Chiesa, assai meno eroico di quanto non abbia tramandato la vulgata agiografica e romanzata, verteva dunque su questioni di ordine teologico, àmbito chiamato in causa dallo stesso pisano. Con i suoi violenti attacchi alla Curia, che stimolava a prendere una posizione in merito, Galileo suscitò le reazioni vaticane; ma alla conciliante proposta del pontefice Urbano VII, che suggeriva di presentare l’eliocentrismo semplicemente come una tesi matematicamente sostenibile anziché come la verità assoluta, lo scienziato replicò in maniera sprezzante nel suo “Dialogo sui massimi sistemi”, raffigurando il papa come un ignorante.
Rammento ancora un’inchiesta apparsa giovedì nel gennaio del 1999 sul «Corriere della Sera». Una pagina intera dell’illustre quotidiano milanese era dedicata ad un sondaggio svolto fra vari esponenti, più o meno noti, della “cultura” italiana, con cui s’intendeva decretare «l’italiano del millennio». Fra gli intervistati v’era anche un architetto che — segno dei tempi — votava per Galileo «perché con lui la scienza abbandona la metafisica». Appunto…

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI:

BURCKHARDT, Titus, Riflessioni sulla «Divina Commedia» di Dante, espressione della saggezza tradizionale, in ID., Scienza moderna e saggezza tradizionale, Borla editore, Torino-Leumann 1968, cap. 5, pp. 127-153.
CONTRO, Primo, Dante templare e alchimista. La Pietra Filosofale nella Divina Commedia. Inferno, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1998.
GUÉNON, René, L’esoterismo di Dante, Adelphi Edizioni, Milano 2002.
LERMIGEAUX, Jacques, Il caso Galileo, Centro Culturale San Giorgio, Ferrara 2002.
MINGUZZI, Edy, L’enigma forte. Il codice occulto della Divina Commedia, ECIG (Edizioni Culturali Internazionali Genova), Genova 1988.
PASCOLI, Giovanni, Conferenze e Studi Danteschi, Zanichelli, Bologna 1914.
RICOLFI, Alfonso, Studi sui Fedeli d’Amore. Dai poeti di corte a Dante. Simboli e linguaggio segreto, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1997.
VALLI, Luigi, Lectura Dantis, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1981.
—, L’allegoria di Dante secondo Giovanni Pascoli, Zanichelli, Bologna 1922.
—, Il segreto della Croce e dell’Aquila nella Divina Commedia, Luni Editrice, Milano 1996.
—, Lo schema segreto del Poema Sacro, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1998.
—, Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore», Luni Editrice, Milano 1994.

domenica 10 novembre 2013

Ex Orfanatrofio in prov. di Brescia

tratto da http://www.hesperya.net/le-indagini/ex-orfanotrofio-prov-di-bs/

Data: 24 Giugno 2012

di Roberta Faliva

La stanza andata in fiamme
La stanza andata in fiamme
Poche sono le certezze riguardo a questo luogo: un edificio degli anni ’60, ora in stato di abbandono, ex orfanatrofio gestito al tempo da un ordine di suore e successivamente colonia estiva fino alla chiusura definitiva nel 1992. La storia di questo luogo è davvero misteriosa. Al tempo trapelarono notizie di strani fatti che riguardavano abusi e strani riti dietro quelle mura apparentemente tranquille e serene. Scattarono delle denunce e alcuni giornali parlarono di questi avvenimenti, tanto che controlli più assidui portarono all’allontanamento dalla struttura di alcune persone, e non solo adulti. Ed è proprio qui che comincia la parte più oscura della storia: la notte del 19 novembre 1977 in quella casa divampò un incendio causato, stando a ciò che scrissero i giornali, da un cortocircuito. atore sentirete, purtroppo, in sottofondo dei campanacci di mucche al pascolo.




Differenti furono però le voci che si sparsero tra la gente: c’è chi dava la colpa a una stufa, chi parlò di ritorsione ai danni di qualche figura troppo compromessa, chi menzionò persino il fenomeno dell’autocombustione. Fatto sta che in quella notte 5 dei 27 bambini subirono delle ustioni, una suora venne salvata con qualche ferita e una bambina rimase uccisa. Il suo nome era Lucilla e aveva 11 anni. Alcuni raccontarono che non riuscì a svegliarsi in tempo, altri dissero che urlò inutilmente aiuto. Rimane il fatto che chi ancora oggi entra in quelle stanze racconta di percepire sensazioni spiacevoli e di sentire un pianto infantile. Può essere una leggenda e può giocare un ruolo importante anche la suggestione, anche se tra quelle camere ve ne è una completamente bruciata atto fatto, dicono, dai ragazzi della zona a perenne monito per non dimenticare.La nostra indagine nell’ex orfanatrofio è iniziata nel tardo pomeriggio con il supporto dei nostri strumenti: K2, rilevatore EMF, registratore digitale, videocamere e fotocamere. Dopo una prima ispezione del luogo abbiamo iniziato le rilevazioni.Primo fatto anomalo riscontrato è stato la visone di un’ombra molto particolare. Il nostro collaboratore Stefano stava scattando delle fotografie quando, nel momento di mettere a fuoco, vede attraverso il mirino della macchina un’ombra che attraversa tranquillamente il corridoio. La descrizione del fenomeno è davvero singolare: la sagoma vista ricorda perfettamente quella di una suora.Secondo fatto anomalo è stato rilevato in una stanza all’ultimo piano dell’edificio. Dopo una sessione di EVP il K2 si è inspiegabilmente acceso fino a metà scala. La terza anomalia si è verificata nella stanza bruciata. Tutti i partecipanti all’indagine erano presenti mentre si stavano effettuando rilevamenti. Improvvisamente si sono sentiti dei passi fuori nel lungo corridoio che porta alla camera ma, subito usciti per controllare, non si è trovato nulla che potesse aver provocato tale rumore.Infine l’ultima anomalia si è riscontrata nell’analisi delle registrazioni. In un EVP si sente chiaramente un colpo al termine della domanda “Puoi darci un segno della tua presenza?” per poi proseguire con un rumore associabile ad un lamento.

Qui di seguito potete ascoltare il particolare della registrazione EVP sopra descritta (si consiglia l’ascolto con l’uso delle cuffie); data la sensibilità del microfono del registratore sentirete, purtroppo, in sottofondo dei campanacci di mucche al pascolo.

https://soundcloud.com/hesperya/domanda-rumore

venerdì 1 novembre 2013

Esoterismo e letteratura

Riportiamo il famoso passo di Dante Alighieri:

« O voi ch’avete l’intelletti sani

Mirate la dottrina che s’asconde

 Sotto il velame delli versi strani! »

(Inf. IX, 61-63)


E adesso l'introduzione al Gargantua scritta dallo stesso Rabelais:

"Vedeste mai un cane trovare un osso midollato? Il cane è, come dice Platone (Lib. II De Rep.) la bestia più filosofa del mondo. Se l'avete visto avrete potuto osservare con quale devozione lo guata, con qual cura lo vigila, con qual fervore lo tiene, con quale prudenza lo addenta, con quale voluttà lo stritola e con quale passione lo sugge. Perché? Con quale speranza lo studia? Quale bene ne attende? Un po' di midolla e nulla più. Ma quel poco è più delizioso del molto di ogni altra cosa, perché la midolla è alimento elaborato da natura a perfezione, come dice Galeno (III, Facult. Nat. e XI, De usu partium). All'esempio del cane vi conviene esser saggi nel fiutare assaporare e giudicare questi bei libri d'alto sugo, esser leggeri nell'avvicinarli, ma arditi nell'approfondirli. Poi con attenta lettura e meditazione frequente rompere l'osso e succhiarne la sostanziosa midolla, vale a dire il contenuto di questi simboli pitagorici, con certa speranza d'esservi fatti destri e prodi alla detta lettura."

Ambedue gli autori fanno riferimento a dottrine segrete che si nasconderebbero l'apparenza di un testo letterario. Al lettore il commento.

domenica 27 ottobre 2013

Riflessioni sugli Ufo



di Vito Foschi

In questo breve scritto non farò né una trattazione storica, né cercherò di proporre una soluzione al mistero degli Ufo, ma farò alcune semplici considerazioni. Innanzitutto vorrei porre l’accento sulla definizione della parola Ufo. Ufo è l’acronimo di Unidentified flight object, cioè oggetto volante non identificato, come molti di voi sapranno. Perché questa precisazione? Per il semplice motivo che spesso si tende a considerare Ufo come sinonimo di alieno il che non è. È vero che storicamente il termine Ufo è nato in concomitanza di avvistamenti dei famosi dischi volanti, flying saucers, in inglese, alla fine degli anni quaranta del secolo scorso, epoca a cui si fa risalire la nascita della moderna ufologia. Ma anche con i dischi volanti rimaniamo sempre nell’ambito degli oggetti volanti non identificati. Il termine Ufo è piuttosto preciso ed indica una precisa realtà: quelli degli oggetti volanti non identificati. Un qualsiasi oggetto che voli e che non sia facilmente identificabile rientra in questa categoria. Per esempio è buio e vedo volteggiare un pallone sonda e non lo riconosco come tale, quello costituisce un Ufo a tutti gli effetti. Quindi nulla di misterioso o di alieno, ma bensì un fenomeno reale. Chiedersi se si crede o meno agli Ufo è una frase priva di senso, è come chiedersi se si crede all’esistenza di delitti. Il problema semmai viene dopo, una volta avvistato un Ufo, ed è quello di spiegare di cosa si tratti. Per questo ho fatto l’esempio dei delitti: il delitto c’è ed è ben reale, l’Ufo, a volte si scopre il colpevole, ovvero un fenomeno atmosferico, un pallone sonda o altro, ma in altri casi il colpevole rimane sconosciuto, ovvero l’origine dell’Ufo rimane incognita. La percentuale di “casi risolti” per gli Ufo supera mediamente il 90%, il restante resta di origine sconosciuta. Ed in questi casi irrisolti che qualcuno ha proposto come soluzione una possibile origine extraterrestre. Ho voluto fare questa distinzione perché molti confondono le due cose che come visto sono ben diverse. Da un lato un fenomeno reale che ha anche i suoi risvolti sulla sicurezza dei cittadini, se cade un meteorite bene non fa, e dall’altra parte, un’ipotesi. Il problema degli Ufo è un problema scientifico è come tale va affrontato. Come ho già detto può riguardare la sicurezza dei cittadini ed in particolare il traffico aereo: immaginate un pallone sonda che gironzoli su un aeroporto. In alcuni casi gli Ufo sono originati da fenomeni atmosferici rari, come per esempio i fulmini globulari, che come dice la denominazione, sono dei fulmini dalla strana forma rotonda, che tra parentesi alcuni considerano all’origine dei cerchi nel grano (vedi il mio articolo). Finora è rimasta una percentuale piccola, ma consistente di avvistamenti non spiegati. Possono essere di origine extraterrestre? Chi lo sa. Certo a sfavore di questa ipotesi esiste la limitazione dell’invalicabilità della velocità della luce che rende impossibile il viaggio interstellare. D’altro canto nuove teorie stanno mettendo in crisi la teoria della relatività di Einstein. Anzi, scoperta recente per me, esistono vari scienziati che non accettano la teoria dello scienziato di origini tedesche, anche se al grande pubblico viene fatto credere che si tratti di verità incontestabili. Anche superando questo limite, rimane il problema forse ancora più grande di come fra miliardi di stelle, i cosiddetti visitatori dallo spazio ci possano trovare. Certo da quando esiste la comunicazione radio abbiamo emesso onde elettromagnetiche che si sono in parte disperse nel cosmo. Che queste siano potute arrivare all’orecchio o organo equivalente di abitanti di altri mondi?
A questo punto verrebbe da chiedersi perché non si mostrano? Per paura di spaventarci e di crearci uno shock psicologico tremendo come i fautori della cospirazione del silenzio vanno predicando? Forse come in Star Trek, quando scoprono una popolazione che ancora non ha ancora scoperto il volo spaziale si astengono da prendere contatto? E allora perché le visite di soppiatto? Si tratta di turisti in cerca di emozioni forti?
La mia breve discussione finisce qui con forse più interrogativi che risposte. Spero di aver stimolato la vostra curiosità.

sabato 19 ottobre 2013

Archeologia, la città della Sibilla svela i resti della prima cucina greca d'Italia

tratto da Il Giornale del 10 ottobre 2013

A Cuma, la più antica colonia ellenica del Mediterraneo occidentale, rinvenuti alcuni focolari in ceramica dell'ottavo secolo avanti Cristo. La scoperta si deve a uno scavo realizzato dal cantiere scuola dell'Università Orientale di Napoli nel quale opera un centinaio di studenti italiani e stranieri

di  Vincenzo Pricolo

Sotto l'insediamento romano di Cuma sono emersi i resti di quella che fu la prima colonia greca d'Occidente, fondata quasi tremila anni fa. Tra i resti più rilevanti, scoperti grazie al lavoro di un gruppo di archeologi dell'Università Orientale di Napoli guidati da Matteo D'Acunto, un ambiente adoperato come cucina che conserva una sequenza di focolari, succedutisi nel corso del tempo. Il più antico dei quali presenta un piano refrattario realizzato con frammenti ceramici in stile geometrico dell'ultimo quarto dell'VIII secolo avanti Cristo. «Sotto una stratificazione di centinaia di anni di storia, ad appena tre metri e mezzo di profondità, al di sotto delle case romane - spiega D'Acunto in una nota - si conservano intatte le abitazioni di quel gruppo di greci che, avventurandosi in Italia meridionale alla metà dell'VIII secolo avanti Cristo, ha segnato la storia dell'Occidente, tra l'altro trasmettendo ai Latini l'alfabeto che sarebbe divenuto di gran lunga il più adoperato di tutto il continente. Proprio in questi giorni stiamo scavando un'abitazione risalente alla seconda metà dell'VIII-VII secolo avanti Cristo, con i focolari ben conservati e i vasi domestici un tempo adoperati per cucinare, mangiare e bere».
Sotto l'egida della Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, lo scavo dell'Orientale si svolge nell'area del Parco archeologico di Cuma, nella città bassa, più in particolare, nel settore compreso tra il Foro e le mura settentrionali della città antica, settore interessato da una continuità abitativa nel tempo, dalla fondazione della colonia greca fino all'abbandono della città romana, avvenuto agli inizi del VI secolo dopo Cristo.
Secondo la leggenda, i fondatori di Cuma furono gli Eubei di Calcide, che sotto la guida di Ippocle di Cuma (è incerto se si trattasse di Cuma Euboica o di Cuma Eolica ma probabilmente si tratta della prima) e Megastene di Calcide, scelsero di approdare in quel punto della costa perché attratti dal volo di una colomba o secondo altri da un fragore di cembali.
Tali fondatori trovarono un terreno particolarmente fertile ai margini della pianura campana. Pur continuando le loro tradizioni marinare e commerciali, i coloni di Cuma rafforzarono il loro potere politico ed economico sull'agricoltura. Oltre che sul grande prestigio di cui godeva la Sibilla, la sacerdotessa veggente che lungo i secoli fu impersonata dalle vergini consacrate ad Apollo che svolgevano i loro culti presso il vicino Lago d'Averno.
Col passare del tempo, Cuma stabilì il suo predominio su quasi tutto il litorale campano fino a Punta Campanella, raggiungendo il massimo della sua potenza nel 524 avanti Cristo, quando gli Etruschi di Capua formarono una lega con altre popolazioni per conquistarla ma furono sconfitti grazie all'abilità strategica del tiranno Aristodemo detto Màlaco.
Lo scavo dell'Orientale sta mettendo in luce un vero e proprio palinsesto di tutta la storia della città antica, in particolare della sua quotidianità: un quartiere centrale della città con le sue strade e le abitazioni che restituiscono gli utensili e il vasellame domestico. Si tratta di uno spaccato delle trasformazioni nel modo di vivere e nella cultura materiale dalla città greca a quella romana. Lo scavo si svolge come cantiere-scuola che prevede la partecipazione di oltre 100 studenti dell'Orientale e di altre università italiane e straniere. «Stiamo lavorando - sottolinea D'Acunto - con il pieno coinvolgimento di una ventina di collaboratori, tra assegnisti, specialisti, laureati e laureandi al monumentale progetto di pubblicazione scientifica del complesso che, per primo nella storia della ricerca a Cuma, offrirà un panorama diacronico di tutta la sua vita».
 

martedì 15 ottobre 2013

La mitologia del Kalevala


La mitologia del Kalevala è la traduzione del saggio del professor Juha Pentikäinen Kalevalan maailma. Con l’edizione americana (Kalevala Mythology) ha ottenuto il celebre Premio Internazionale di Etnostoria Pitré-Salomone Marino, il Nobel dell’Antropologia Culturale. Si tratta di uno dei più dettagliati studi interdisciplinari sul Kalevala, il poema epico finlandese pubblicato dall’etnologo Elias Lönnrot nel 1835. Il saggio di Pentikäinen rivela i complessi processi culturali che hanno reso il Kalevala un classico della letteratura mondiale. Tratta inoltre: la nascita degli studi folklorici e mitologici in Finlandia, le personali ideologie di Elias Lönnrot e i suoi viaggi etnografici, l’importanza dei più celebri cantori (alcuni dei quali incontrati personalmente dall’autore), il successo del Kalevala in patria e all’estero, l’importanza del poema per il futuro movimento indipendentista. Diversi capitoli di questo splendido saggio sono dedicati all’interpretazione del contenuto mitologico dei canti e le teorie di Pentikäinen evidenziano l’importanza dei contenuti magici e sciamanici nell’epica finnica. Egli ha svolto ricerche approfondite con gli sciamani siberiani e il prestigioso Chicago Folklore Price (1978) ha premiato un suo saggio sui canti della cantrice Marina Takalo.
La Mitologia del Kalevala è diventato un classico non solo per coloro che sono interessati alla mitologia finnica, ma anche per chi vuole comprendere il ruolo dell’epica nelle complesse dinamiche culturali del Romanticismo.


Sostanzialmente si tratta di un saggio multidisciplinare, che sfrutta i punti di vista della critica letteraria, della storia, dell'antropologia, per illustrare come e perché sia nato un unicum letterario come il poema di Lönnrot. Perché esso sia nato proprio in Finlandia. Perché sia nato proprio in un momento storico come il Romanticismo. Il volume è riccamente annotato; vi sono 5 appendici; un'introduzione del professore americano Ben Amos; 35 illustrazioni. Si tratta di una pubblicazione di grande formato (15x23 cm, come i bestseller americani) e cartonata. 328 pagine. Prezzo di copertina € 18,90. La traduzione italiana è l'ultima in ordine di tempo e, a quanto pare, anche la più aggiornata. Il testo riporta numerosi stralci della corrispondenza di Lönnrot (mai tradotti prima in Italia), più parecchi versi della classica traduzione italiana del Kalevala di Emilio Pavolini e altri versi tratti dal Vecchio Kalevala del 1835 (mai tradotto).
L'autore del saggio (accompagnato dal traduttore Vesa Matteo Piludu) sarà in Italia per un primo "tour" di presentazioni dal 20 al 28 ottobre. Il ciclo inizierà a Torino (Teatro Vittoria) e terminerà presso il Tirtha di Verona (via Tremolè 18 - Pescantina) il giorno 28 alle ore 20,30.