mercoledì 28 settembre 2016

ELEMENTI DI TEURGIA - HEPTAMERON

“Nel gregge della fatalità non cadono i teurghi.” (Oracoli caldaici, frammento 153.)


 «La Magia Cerimoniale è una operazione con la quale l’Uomo cerca di costringere, con il gioco stesso delle Forze Naturali, le Potenze invisibili dei diversi Ordini ad agire secondo ciò che da esse richiede. A questo scopo, le afferra, le sorprende, per così dire, proiettando delle Forze di cui egli stesso non è padrone, ma alle quali può aprire delle vie straordinarie, in seno stesso della Natura. Donde Pentacoli, sostanze speciali, condizioni rigorose di Tempo e di Luogo che occorre osservare pena i più gravi pericoli. Poiché, se la direzione ricercata è un pochino imperfetta, l’audace è esposto all’azione delle “Potenze” nei cui confronti non è che un granellino di polvere... » (Charles Barlet: l’«Initiation», numero di Gennaio 1897).

Originariamente la Teurgia (dal greco antico θεουργία theurghía) era un’arte riservata ai sacerdoti , attraverso la quale si anelava alla manifestazione della divinità su questo piano. Ciò poteva avvenire sia cercando di far precipitare la divinità all’interno di un corpo, in genere una statuetta di creta, inanimato, oppure all’interno di un essere umano. Entrambe le operazioni si articolavano in complessi rituali cadenzati da solenni gesti, profonde orazioni, simboli magici e preceduti da immancabili purificazioni. Attorno al reale valore della Teurgia molto ci lascia intuire il significato di questa parola, che altro non è che “opera attraverso Dio” oppure “opera per mezzo di Dio”.
Ecco quindi quella che dovrebbe essere, se correttamente compresa, la profonda differenza fra Teurgia e Magia. Mentre la seconda opera, attraverso le forze naturali, volta al fine di conquistare un vantaggio personale, la Teurgia si compie tramite l’assistenza del divino e non ha finalità egoistiche.
Come già accennato in precedenza l’assenza di tale comprensione, il volgere la Teurgia a finalità personali, comporta inevitabilmente il suo declassarsi ad operazione magica. Mi permetto, giunto a questo punto, di spendere ulteriori considerazioni per meglio chiarire la questione di cui stiamo trattando.

Tratto da: "ELEMENTI DI TEURGIA - HEPTAMERON"
Edizioni Lulu http://www.lulu.com/spotlight/lachimera70
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sabato 24 settembre 2016

L’inizio del cammino della Trasformazione Spirituale

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/linizio-del-cammino-della-trasformazione-spirituale/

Appunti di Trasformazione Spirituale parte I

Questo è il primo post della serie: Appunti di Trasformazione Spirituale. All’inizio dovevano essere appunti di Alchimia Spirituale, oggi la parola Alchimia genera troppi fraintendimenti ed aspettative. Questa serie di appunti, non hanno ancora una loro organicità esplicita, al momento vengono resi così come sono nati. In futuro probabilmente verranno organizzati in modo migliore. Sono stato tentato di sostituire la parola Spirito con Pneuma, ho evitato questa sostituzione per rendere più fruibile, spero, nell’immediatezza il senso di questi articoli.

Ci sono momenti che creano stupore ed ai quali non si è mai pronti, come non si è mai pronti a tutte le prove iniziatiche. L’essere umano è un grande fruitore di energie, di qualunque tipo e genere. Non solo ne fruisce, ma le trasforma. È la trasformazione ad essere la chiave di volta celata dietro le parole dei Maestri. Parole spesso e volutamente criptiche o giocate su una molteplicità di significati e significanti, quasi a voler far sottoporre alla “prova del labirinto” coloro che osano andare incontro ai Misteri; il più grande da sempre è: CONOSCI TE STESSO (e consocerai gli uomini e gli dei). Trasformare un’energia negativa come il rancore, l’astio, la rabbia in una energia positiva come l’affetto, la “serenità” o l’Amore, è cosa più facile a dirsi che a farsi. Spesso si leggono intere biblioteche, si riflette lungamente ma senza successo. Ed è giusto che sia così. Oltre al volere, sapere, osare tacere dell’ermetismo c’è dell’altro, queste sono caratteristiche degli Iniziati che hanno già sublimato o perfezionato la loro “umanità”. Il salto nella trasformazione, tolte le doti naturali insite in ognuno, è una vera è propria iniziazione. Da non confondersi con una auto iniziazione, ammesso che esista la possibilità di auto iniziarsi (questo è un altro discorso). Un esempio pratico potrebbe essere l’incontrare qualcuno che ha profondamente tradito le aspettative che avevate risposto in lui, che vi abbia ferito nell’essenza spirituale e ad un certo punto scoprire che non solo non siete più arrabbiati, ma che una profonda pietas e/o compassione vi lega a lui e subito dopo scoprite di Amarlo e perdonare (che non va inteso come giustificare, ma piuttosto come un rimettere) quanto vi ha fatto o quanto gli avete permesso di fare. Siamo noi in una qualche misura a determinare gli accadimenti della nostra vita e della nostra emotività/spiritualità per esperire quanto di cui abbiamo bisogno e quanto ci può portare ad evolvere. Dopo aver accetto questo nuovo stato di cose, per un’istante potreste percepire il “filo d’argento” che collega il vostro microcosmo al macrocosmo ed avere la netta (folle) sensazione della morte che abbraccia e della luce che si emana dagli antri più remoti dell’essere. Questa iniziazione, potrebbe essere una delle fasi di trasformazione all’interno dell’alchimia (trasformazione) spirituale, paragonabile utilizzando un linguaggio alchemico tradizionale al passaggio dalla nigredo all’albedo (potrebbe essere lo stato di Distillazione e Sublimazione). La parte più interessante forse è quella della “morte”, perché come ogni iniziazione deve far morire, putrefare, una parte o il tutto per dar corso alle successive evoluzioni e cicli di rinascita con un karma più complesso ed una consapevolezza maggiore. Ogni giorno, (vedi ad esempio l’attività cellulare) l’essere umano compie morti e rinascite in tutti gli strati della materia e dell’essere, ma della maggior parte non ne è consapevole, iniziare ad acquisire consapevolezza è come iniziare a respirare in un modo diverso, a vedere più colori ed ascoltare più suoni.

Temo che queste poche righe non siano chiarissime e sono certo che per alcuni genereranno fraintendimenti. Auspico che questi appunti nel loro dipanarsi possano essere sempre più chiari ed essere di una qualche utilità a chi è alla ricerca della conoscenza prima di tutto del proprio essere.

Gioia – Salute – Prosperità

martedì 20 settembre 2016

Gubbio e il Mistero di San Francesco e il Lupo

di Andrea Romanazzi


Giotto, San Francesco rinuncia ai beni terreni, Assisi, Basilica superiore
Giotto, San Francesco rinuncia ai beni terreni
Assisi, Basilica superiore
Immagine di pubblico dominio
“…Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado d'Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere, e con tutto ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura di questo lupo e'vennono a tanto, che nessuno era ardito d'uscire fuori della terra…Per la qual cosa avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo, bene che li cittadini al tutto non gliel consigliavano; e facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della terra egli co'suoi compagni, tutta la sua confidanza ponendo in Dio. E dubitando gli altri di andare più oltre, santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo.  Ed ecco che, vedendo molti cittadini li quali erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta; ed appressandosi a lui santo Francesco gli fa il segno della santissima croce, e chiamollo a sé e disse così: "Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona".  Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere….Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed eglino [il popolo di Gubbio] ti perdonino ogni passata offesa, e né li uomini né li cani ti perseguitino più". E dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di orecchi e con inchinare il capo mostrava d'accettare ciò che santo Francesco dicea e di volerlo osservare…E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio; ed entravasi domesticamente per le case a uscio a uscio, senza fare male a persona e senza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalle genti; e andandosi così per la terra e per le case, giammai niun cane gli abbaiava dietro. Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di vecchiaia. Di che i cittadini molto si dolsero; imperò che, veggendolo andare così mansueto per la città, si ricordavano meglio della virtù e della santità di santo Francesco…”
Il testo qui riportato, estratto da I Fioretti di San Francesco, capitolo XXI, narra del famoso incontro tra il Santo e il Lupo (in realtà una Lupa) che, secondo la tradizione, viene reso mansueto da Francesco. Il mistico incontro tra il santo e la bestia avvenne, secondo la leggenda, nei pressi  di una chiesetta extra moenia, denominata “la Vittorina”, ancora oggi visibile in Via della Vittorina ad angolo con via Pierluigi da Palestrina. La novella però fa sorgere alcuni quesiti. C’è altro in realtà dietro la leggenda del lupo e San Francesco? Cosa si cela realmente dietro questo racconto? Secondo le ultime ricerche storiografiche il “lupo” altro non sarebbe che un Brigante con il quale, attraverso l’intermediazione del Santo, la città di Gubbio scese a patti assicurandogli vitto ed alloggio in cambio della cessazione delle razzie.
Per altri il lupo sarebbe invece esistito davvero. La prova sarebbe presente all’interno della chiesa di San Francesco della Pace, sita in Via Savelli Della Porta, dove, secondo la tradizione, morì il vecchio lupo (Fig.1). Infatti nel 1873, durante dei lavori di recupero, poco distante dalla chiesa, fu trovata una piccola tomba contenente proprio lo scheletro di un animale che il veterinario Antonio Spinaci accertò essere proprio un canide, ad oggi unico caso di un animale sepolto all’interno di una chiesa, con tanto di pietra tombale ancora oggi visibile  (fig.2-3).
Lupo, Brigante o altro si cela dietro questo racconto? Andiamo con ordine. La nostra ricerca parte da Gubbio, uno dei più bei borghi italiani. Il paese, noto come  Ikuvium o Iguvium, abbarbicato ai piedi del monte Ingino, alla confluenza dei torrenti Camignano e Cavarello, fu fondato dagli Umbri. Anche per questo borgo, come per la maggior parte dei paesi italiani, esiste una curiosa leggenda di fondazione. Alla ricerca del luogo esatto dove far sorgere la città, durante il “ver sacrum”, ovvero la Primavera Sacra, i sacerdoti videro per tre volte volteggiare sul monte Ingino un picchio verde, animale totemico di molte popolazioni italiche ed in particolare degli Umbri e dei Piceni. Questa apparizione fu considerata un segno, ovvero una indicazione della divinità riguardo al luogo dove fondare il nuovo borgo. Già in questa leggenda troviamo le prime tracce di un “culto del lupo”. Infatti  il Picchio e il canide sono strettamente correlati essendo entrambi animali totemici di una antica divinità italica della guerra, una sorta di “Marte” ante litteram, rappresentato appunto sotto forma di tali animali. Questo collegamento tra questo dio guerriero e questi animali lo ritroviamo poi ne “La vita di Romolo” in riferimento alla fondazione di un’altra città, Roma appunto. Plinio narra di come una lupa, scesa verso il Tevere per abbeverarsi, venne attratta dai vagiti dei fondatori di Roma, Romolo e Remo, e si mise ad allattarli. In realtà nella leggenda si narra anche di un picchio verde che portò del cibo ai due neonati, legando così indissolubilmente i due animali.

Le Falloforie eugubine

Facciamo un importante salto temporale. Il 1444 è una data importante per Gubbio. Vengono infatti ritrovate sette tavole in bronzo, databili III-II secolo a.C., oggi conservate nella cappella del Palazzo dei Consoli, note come le Tavole Eugubine. Questi scritti, in parte in umbro e in parte in latino hanno permesso agli storici di studiare i rituali delle antiche popolazioni dell’Italia Centrale. Nelle tavole I, VI e VII ad esempio, sono descritti i rituali di purificazione per la città e quello di esecrazione verso gli eventuali nemici, mentre nelle tavole III e IV si narra di un misterioso culto dedicato a due divinità: Pomono Popdico e Vesona.
Si tratta di una classica divina coppia, Dea Madre e Figlio-Compagno che ritroviamo in tutte la tradizioni religiose italiche. I culti di fertilità legati a Vesona, una sorta di Cerere, sono in realtà ancora oggi nascosti nel folklore eugubino, mascherati nella ricorrenza della festa dei Ceri. Il rito è molto semplice da descrivere. Tre gruppi di portatori, detti ceraioli, sollevano tre grandi strutture in legno, detti ceri, innestati verticalmente su altrettante barelle a forma di "H", sui quali sono posizionati i tre santi protettori della città: Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio Abate. Dovrebbe vincere chi arriva primo in una folle corsa. In realtà non è così, non è una vera e propria gara perché la festa termina sempre con un ordine predefinito di arrivo: ovvero per primo Sant’Ubaldo, poi nell’ordine San Giorgio e Sant’Antonio. La festa si tiene il 15 di Maggio e già il periodo ci mette di fronte a ciò che rimane di culti fallofori dedicati alla rinascita primaverile, una sorta di capodanno agro-pastorale. I Ceri, oggi con in cima le statue dei Santi, altro non rappresentano che il ricordo di falli lignei che venivano portati in giro per il borgo e le campagne con il preciso scopo di rendere fertile la terra. Rituali simili nel passato erano presenti ad esempio ad Isernia e a Trani. L’ostentazione dell’oscenità però non era vista di buon occhio dalla Chiesa che demonizzerà tali pratiche trasformando i simboli di protezione in “esibizioni oscene” e i rituali di fertilità in orgie collettive, oppure assorbite, proprio come a Gubbio, con una operazione sincretica.

Il Lupo, Francesco e lo strano Affresco

Quanto detto sin ora sembra piuttosto lontano da San Francesco e il Lupo. In realtà è da questo humus che deriva l’episodio narrato ne I Fioretti. Gubbio era sicuramente un centro pagano molto importante dedito, come abbiamo visto, a riti di fertilità così radicati che non sono mai stati del tutto cancellati. Vi è però molto di più. Tornando alle tavole eugubine, in particolare nella Tavola II si narra di una misteriosa confraternita detta dei "Fratres Attidiati" o Fratelli Atiedii, che esercitava un culto di fertilità che terminava con sacrifici di animali, ed in particolare di cani e lupi. Il sacrificio di canidi non è in realtà raro, in Grecia troviamo la cerimonia delle Kunophontes, ovvero il massacro dei cani, a Roma cani sacri erano sacrificati alla dea Furrina. La spiegazione dei riti sacrificali si inquadra molto bene nella cerimonialistica stagionale. L’animale, espressione totemica della divinità maschile vegetazionale, deve essere ucciso per poter risorgere. Siamo di fronte a quei rituali di morte e resurrezione ben descritti dal Frazer nel suo Ramo d’Oro e che erano diffusissimi nell’Italia pre-romana. La scelta del lupo, o delle fiere locali come espressione della divinità non era casuale, infatti l’animale, che con i suoi comportamenti era considerato grande predatore, era in competizione con gli stessi uomini cacciatori e così l’antico, per propiziare una buona caccia, cercava di onorare l’animale sia per ingraziarselo e evitare che gli sottraesse il sostentamento, sia per poter ereditare dallo stesso la sua stessa capacità di caccia. Ecco così che il lupo diventa il dio-protettore-cacciatore adorato in moltissime culture animiste. In realtà molte sono le tradizioni pagane italiche che prevedevano oltre l’uccisione dell’animale anche il consumo della sua carne. Il cibarsi della carne dell’animale totemico così, non era una gozzoviglia ma un sacramento solenne, un modo per il primitivo di acquistare ed assorbire una parte di divinità. In aggiunta in molte culture i sacerdoti stessi si travestivano con le pelli del totemico per assumerne, anche fisicamente, secondo i principi della magia empatica o imitativa, le forme. Questa l’origine delle tradizioni sui mutaforma che ritroviamo tra i Germani, i popoli nordici, i Mongoli, gli Indiani d’America e in moltissime altre tradizioni. Petronio nel suo Satyricon parla per la prima volta dei “versipellis”, uomini all’interno dei cui corpi crescevano folti peli e così che bastava si rivoltassero come un guanto per cambiare il loro aspetto.
Potevano così i “Fratelli Atiedii” essere dei Sacerdoti del culto del Lupo? Curiosamente, nella chiesa di San Francesco, sempre a Gubbio, proprio lì dove si narra che il Santo, fuggito da Assisi, avesse dimorato (Fig.4), uno strano affresco (Fig.5) raffigurante una sorta di “Selvadego”, o Uomo Selvatico”, ci racconta di un culto naturale forse mai davvero dimenticato. In questa ottica ecco che l’incontro tra San Francesco e il Lupo potrebbe cambiare. L’episodio narrato nei Fioretti potrebbe essere metafora di una sorta di operazione sincretica: Francesco “converte” il lupo, ovvero il Paganesimo ancora presente a Gubbio, e lo “seppellisce” all’interno di una Chiesa, senza però cancellarlo: ammansendolo, ovvero mantenendo quel rapporto che l’Antico aveva con la Natura non era vista da Francesco come qualcosa di “osceno” ma semplicemente da modificare, da venerare non per se stesso ma come Gloria del Signore.

”…Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte…”





sabato 17 settembre 2016

Del segreto iniziatico

In collaborazione con la rivista Lettera E Spirito: http://acpardes.com/letteraespirito/del-segreto-iniziatico/

di René Guénon(*)

Sebbene abbiamo già indicato qual è la natura essenziale del segreto iniziatico[1], dobbiamo portare ulteriori precisazioni in proposito, allo scopo di distinguerlo, senza possibilità di equi­voci, da tutti gli altri generi di segreti più o meno esteriori che s’incontrano nelle molteplici organizzazioni che, per questa ragione, sono dette “segrete” nel senso più generale. Abbiamo detto, infatti, che questa designazione, per noi, significa unicamente che tali organizzazioni pos­siedono un segreto, qualunque ne sia la natura, e anche che, secondo il fine che esse si propon­gono, questo segreto può naturalmente vertere sulle cose più diverse e assumere le forme più svariate; ma, in tutti i casi, qualunque segreto che non sia il segreto propriamente iniziatico ha sempre un carattere convenzionale; con ciò intendiamo dire che non è tale se non in virtù di una convenzione più o meno esplicita, e non per la natura stessa delle cose. Al contrario, il segreto iniziatico è tale perché non può non esserlo, poiché consiste esclusivamente nell’“inesprimibile”, il quale, di conseguenza, è necessariamente anche l’“incomunicabile”; e così, se le organizza­zioni iniziatiche sono segrete, in esse tale carattere non ha più nulla d’artificiale e non risulta da alcuna decisione più o meno arbitraria da parte di chicchessia. Questo punto è dunque parti­colarmente importante per ben distinguere, da un lato, le organizzazioni iniziatiche da tutte le altre organizzazioni segrete qualunque, e dall’altro, nelle stesse organizzazioni iniziatiche, quel che costituisce l’essenziale da tutto ciò che può venire ad aggiungervisi accidentalmente; quindi dobbiamo ora dedicarci a svilupparne un po’ le conseguenze.
La prima di queste conseguenze, che peraltro abbiamo già indicato precedentemente, è che, mentre ogni segreto d’ordine esteriore può sempre essere tradito, solo il segreto iniziatico non può mai esserlo in alcuna maniera, poiché, in se stesso e in qualche modo per definizione, è inaccessibile e inafferrabile ai profani e non può da essi venir penetrato, la sua conoscenza non potendo essere che la conseguenza dell’iniziazione stessa. In effetti, questo segreto è di tal na­tura che le parole non possono esprimerlo; è per questo, come spiegheremo più completamente in seguito, che l’insegnamento iniziatico non può far uso che di riti e di simboli, i quali sugge­riscono piuttosto che non esprimano nel senso ordinario della parola. Per l’esattezza, quel che è trasmesso con l’iniziazione non è il segreto in sé, poiché esso è incomunicabile, ma l’influenza spirituale che ha i riti come veicolo, e che rende possibile il lavoro interiore per mezzo del quale, prendendo i simboli come base e come supporto, ciascuno coglierà tale segreto e lo penetrerà più o meno completamente, più o meno profondamente, secondo la misura delle proprie possibilità di comprensione e di realizzazione.
Checché si possa pensare delle altre organizzazioni segrete, non si può perciò, in ogni caso, rimproverare alle organizzazioni iniziatiche d’avere questo carattere, poiché il loro segreto non è qualcosa che esse nascondano volontariamente per ragioni qualsiasi, legittime o no, e sempre più o meno soggette a discussione e ad apprezzamento come tutto quel che procede dal punto di vista profano, bensì qualcosa che non è in potere di nessuno, quand’anche lo volesse, svelare e comunicare ad altri. Quanto al fatto che queste organizzazioni siano “chiuse”, vale a dire che non ammettono tutti indistintamente, esso si spiega semplicemente con la prima delle condi­zioni dell’iniziazione quali abbiamo esposte in precedenza, ossia per la necessità di possedere certe “qualificazioni” particolari, in assenza delle quali alcun beneficio reale potrebbe essere tratto dal ricollegamento a una tale organizzazione. Per di più, quando questa diviene troppo “aperta” e insufficientemente rigorosa a tale riguardo, corre il rischio di degenerare a causa dell’incomprensione di coloro che così ammette sconsideratamente, e che, soprattutto quando divengono la maggioranza, non mancano d’introdurvi ogni sorta di vedute profane e di deviare la sua attività verso scopi che non hanno niente in comune con il dominio iniziatico, come si vede anche troppo bene in ciò che, ai nostri giorni, ancora sussiste in quanto a organizzazioni di questo genere nel mondo occidentale.
Così, ed è una seconda conseguenza di quel che abbiamo enunciato all’inizio, il segreto iniziatico in se stesso e il carattere “chiuso” delle organizzazioni che lo detengono (o, per parlare più esattamente, che detengono i mezzi con i quali è possibile a coloro che sono “qualificati” d’avervi accesso) sono due cose del tutto distinte e che non devono in nessun modo essere confuse. Per quanto riguarda il primo, significa disconoscerne totalmente l’essenza e la portata l’invocare delle ragioni di “prudenza” come talvolta si fa; per il secondo, invece, che peraltro riguarda la natura degli uomini in generale e non quella dell’organizzazione iniziatica, si può fino a un certo punto parlare di “prudenza”, nel senso che, con ciò, quest’organizzazione si difende, non contro delle “indiscrezioni” impossibili quanto alla sua natura essenziale, ma contro quel pericolo di degenerazione di cui abbiamo appena parlato; né si tratta della ragione primaria, quest’ultima non essendo altro che la perfetta inutilità d’ammettere delle individualità per le quali l’iniziazione non sarebbe mai altro che “lettera morta”, vale a dire una formalità vuota e senz’alcun effetto reale, poiché esse sono in qualche modo impermeabili all’influenza spirituale. Quanto alla “prudenza” nei confronti del mondo esterno, come la s’intende il più delle volte, non può essere che una considerazione affatto accessoria, ancorché sia sicuramente legittima in presenza di un ambiente più o meno coscientemente ostile, l’incomprensione pro­fana fermandosi raramente a una sorta d’indifferenza e tramutandosi fin troppo facilmente in un odio le cui manifestazioni costituiscono un pericolo che non ha certo niente d’illusorio; ma questo non può tuttavia colpire l’organizzazione iniziatica in sé, la quale, in quanto tale, è, come abbiamo detto, veramente “inafferrabile”. Così le precauzioni a questo riguardo s’imporranno quanto più tale organizzazione sarà già più “esteriorizzata”, dunque meno puramente iniziatica; è peraltro evidente che è soltanto in questo caso che essa può arrivare a trovarsi in diretto contatto con il mondo profano, che, altrimenti, non potrebbe che ignorarla in modo puro e semplice. Non parleremo qui di un pericolo d’ordine diverso, che può risultare dall’esistenza di ciò che abbiamo chiamato la “contro-iniziazione”, e al quale semplici misure esteriori di “prudenza” non possono peraltro ovviare; queste non valgono che contro il mondo profano, le cui reazioni, lo ripetiamo, sono da temere soltanto perché l’organizzazione ha assunto una forma esteriore analoga a quella di una “società” o è stata trascinata più o meno completamente in un’azione esercitantesi al di fuori del dominio iniziatico, tutte cose il cui carattere non può essere considerato che semplicemente accidentale e contingente[2].
Arriviamo così a far emergere un’ulteriore conseguenza della natura del segreto iniziatico: può accadere infatti che, oltre a questo segreto che solo le è essenziale, un’organizzazione iniziatica possieda anche secondariamente, e senza per questo perdere in nessun modo il suo carattere proprio, altri segreti che non sono dello stesso ordine, ma di un ordine più o meno esteriore e contingente; e sono questi segreti puramente accessori che, essendo necessariamente i soli ad apparire agli occhi dell’osservatore esterno, saranno suscettibili di provocare diverse confusioni. Questi segreti possono provenire dalla “contaminazione” di cui abbiamo parlato, intendendo con ciò l’aggiunta di fini che non hanno nulla di iniziatico, e ai quali può peraltro esser data un’importanza più o meno grande, poiché, in questo genere di degenerazione, tutti i gradi sono evidentemente possibili; ma non sempre le cose stanno così, e può anche essere che simili segreti si riferiscano ad applicazioni contingenti, ma legittime, della stessa dottrina iniziatica, applicazioni che si giudica opportuno “riservare” per ragioni che possono essere assai diverse, e andrebbero determinate in ciascun caso particolare. I segreti a cui stiamo alludendo sono, in special modo, quelli che concernono le scienze e le arti tradizionali; quel che nel modo più generale si può dire al proposito, è che, non potendo tali scienze e tali arti essere veramente comprese al di fuori dell’iniziazione in cui hanno il loro principio, la loro “volgarizzazione” potrebbe avere solo degli inconvenienti, giacché essa comporterebbe inevitabilmente una defor­mazione o addirittura uno snaturamento, del genere di quello che ha precisamente dato origine alle scienze e alle arti profane, come abbiamo esposto in altre occasioni.
In questa stessa categoria di segreti accessori e non essenziali, si deve annoverare anche un altro genere di segreto che esiste in maniera molto generale nelle organizzazioni iniziatiche, e che è quello che occasiona più comunemente, nei profani, quell’equivoco su cui abbiamo pre­cedentemente attirato l’attenzione: tale segreto è quello che verte, sia sull’insieme dei riti e dei simboli in uso in tale organizzazione, sia, più particolarmente ancora, e anche in maniera più ri­gorosa di solito, su certe parole e certi segni da essa impiegati come “mezzi di riconoscimento”, per permettere ai suoi membri di distinguersi dai profani. Va da sé che ogni segreto di tale natura non ha che un valore convenzionale e tutto relativo, e che, per il fatto stesso di concer­nere delle forme esteriori, può sempre essere scoperto o tradito, il che peraltro, rischierà, del tutto naturalmente, di verificarsi tanto più facilmente quanto più si tratterà di un’organizzazione meno rigorosamente “chiusa”; si deve anche insistere su questo, che non solamente tale segreto non può in alcun modo essere confuso con il vero segreto iniziatico, salvo che da coloro che non hanno la minima idea della natura di quest’ultimo, ma che non ha neppure nulla d’essenziale, cosicché la sua presenza o assenza non possono essere invocate per definire un’organizzazione in quanto in possesso di un carattere iniziatico o come priva di esso. In realtà, la stessa cosa, o qualcosa d’equivalente, esiste anche nella maggior parte delle altre organizzazioni segrete qua­lunque, senza nulla d’iniziatico, benché le ragioni ne siano allora differenti: può trattarsi, sia d’imitare le organizzazioni iniziatiche nelle loro apparenze più esteriori, com’è il caso per le organizzazioni da noi qualificate pseudo-iniziatiche, o addirittura per certi raggruppamenti fan­tasiosi che non meritano neppure tale nome, sia molto semplicemente di garantirsi quanto possi­bile contro le indiscrezioni, nel senso più comune della parola, come accade soprattutto per le associazioni di scopo politico, ciò che si capisce senza la minima difficoltà. D’altra parte, l’esistenza di un segreto di questo genere non ha, per le organizzazioni iniziatiche, niente di necessario; anzi ha in esse un’importanza tanto meno grande quanto più puro e più elevato è il loro carattere, poiché esse sono allora tanto più svincolate da tutte le forme esteriori e da tutto quanto non è veramente essenziale. Accade perciò questo, che può sembrare paradossale a prima vista, ma che è invece in fondo molto logico: l’impiego di “mezzi di riconoscimento” da parte di un’organizzazione è una conseguenza del suo carattere “chiuso”; ma, in quelle che sono precisamente le più “chiuse” di tutte, tali mezzi si riducono fino a scomparire talvolta intera­mente, poiché allora non ve n’è più bisogno, la loro utilità essendo direttamente legata a un certo grado d’“esteriorità” dell’organizzazione che vi ha ricorso, e raggiungendo in qualche modo il suo massimo quando quest’ultima rivesta un aspetto “semi-profano”, del quale la forma “societaria” è l’esempio più tipico, poiché è allora che le sue occasioni di contatto con il mondo esteriore sono le più estese e molteplici, e, di conseguenza, più le importa di distinguersi da questo con dei mezzi che siano anch’essi d’ordine esteriore.
L’esistenza di un tale segreto esteriore e secondario nelle organizzazioni iniziatiche più diffuse si giustifica peraltro ancora con altre ragioni: certuni gli attribuiscono soprattutto un ruolo “pedagogico”, se così è permesso esprimersi; in altri termini, la “disciplina del segreto” costituirebbe una sorta d’“allenamento” o d’esercizio che rientra nei metodi propri a queste organizzazioni; e, a questo proposito, in essa si potrebbe vedere in qualche modo come una forma attenuata e ridotta della “disciplina del silenzio” che era in uso in certe scuole esoteriche antiche, segnatamente presso i Pitagorici[3]. Questo punto di vista è sicuramente giusto, a condi­zione di non essere esclusivo; e va notato che, sotto questo rapporto, il valore del segreto è completamente indipendente da quello delle cose sulle quali verte; il segreto mantenuto sulle cose più insignificanti avrà, in quanto “disciplina”, esattamente la stessa efficacia di un segreto realmente importante di per se stesso. Questa dovrebbe essere una risposta sufficiente ai profani che, a tal proposito, accusano le organizzazioni iniziatiche di “puerilità”, non comprendendo peraltro che le parole o i segni sui quali il segreto è imposto hanno un proprio valore simbolico; se essi sono incapaci d’arrivare fino a considerazioni di quest’ultimo ordine, quella che abbiamo appena indicata è almeno alla loro portata e non richiede certo un grandissimo sforzo di comprensione.
Ma, vi è, in realtà, una ragione più profonda, basata precisamente su quel carattere simbolico che abbiamo appena menzionato, e che fa sì che quelli che si chiamano “mezzi di riconosci­mento” non siano solamente questo ma anche, allo stesso tempo, qualcosa di più: si tratta veramente di simboli come tutti gli altri, il cui significato dev’essere meditato e approfondito allo stesso titolo, e che fanno così parte integrante dell’insegnamento iniziatico. È così d’altron­de per tutte le forme impiegate dalle organizzazioni iniziatiche, e, più generalmente ancora, da tutte quelle che hanno un carattere tradizionale (ivi comprese le forme religiose): esse sono sempre, in fondo, altra cosa che quel che paiono dal di fuori, anzi è questo che le distingue essenzialmente dalle forme profane, in cui l’apparenza esteriore è tutto e non ricopre alcuna realtà d’altro ordine. Da questo punto di vista, il segreto di cui si tratta è esso stesso un simbolo, quello del vero segreto iniziatico, il che è evidentemente ben più di un semplice mezzo “pedagogico”[4]; ma, beninteso, qui come altrove, il simbolo non dev’essere in alcun modo confuso con ciò che è simboleggiato, ed è questa la confusione che commette l’ignoranza profana, poiché essa non sa vedere quel che v’è dietro l’apparenza, e non concepisce neppure che possa esservi qualcosa d’altro da quel che cade sotto i sensi, il che equivale praticamente alla negazione pura e semplice di ogni simbolismo.
Infine, indicheremo un’ultima considerazione che potrebbe dar luogo ad altri sviluppi anco­ra: il segreto d’ordine esteriore, nelle organizzazioni iniziatiche in cui esiste, fa propriamente parte del rituale, poiché quel che ne è l’oggetto è comunicato, sotto l’obbligo corrispondente del silenzio, nel corso stesso dell’iniziazione a ciascun grado o come conclusione di quest’ultima. Tale segreto costituisce perciò, non solamente un simbolo come abbiamo appena detto, ma anche un vero e proprio rito, con tutta la virtù propria che è inerente a questo come tale; e del resto, in verità, il rito e il simbolo sono, in tutti i casi, strettamente legati dalla loro stessa natura, come dovremo spiegare più diffusamente nel seguito.


* R. Guénon, Aperçus sur l’Initiation, Édition Traditionnelles, Paris, 1946, cap. XIII: Du secret initiatique.

[1] Vedere anche Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, cap. XII.
[2] Ciò che diciamo qui si applica al mondo profano ridotto a se stesso, se così ci si può esprimere; ma è opportuno aggiungere che in certi casi esso può anche servire come strumento incosciente per un’azione esercitata dai rappresentanti della “contro-iniziazione”.
[3] Disciplina secreti o disciplina arcani, si diceva anche nella Chiesa cristiana dei primi secoli, ciò che sembrano dimenticare certi nemici del “segreto”; ma occorre notare che, in latino, la parola disciplina ha il più delle volte il senso d’“insegnamento”, che è peraltro il senso etimologico, e anche, per derivazione, quello di “scienza” o di “dottrina”, mentre quel che in francese è chiamato “disciplina” non ha che un valore di mezzo preparatorio in vista di un fine che può essere di conoscenza come è qui il caso, ma che può anche essere di tutt’altro ordine, ad esempio semplicemente “morale”; è proprio in quest’ultimo modo che, di fatto, lo si intende più comunemente nel mondo profano.
[4] Si potrebbe, se si volesse entrare un poco nel dettaglio a tale proposito, notare ad esempio che le “parole sacre” che non devono mai essere pronunciate sono un simbolo particolarmente netto dell’“inef­fabile” o dell’“inesprimibile”; si sa d’altronde che qualcosa di simile si trova talvolta perfino nell’exote­rismo, ad esempio per il Tetragramma nella tradizione ebraica. Si potrebbe anche mostrare, nello stesso ordine d’idee, che certi segni sono in rapporto con la “localizzazione”, nell’essere umano, dei “centri” sottili il cui “risveglio” costituisce, secondo certi metodi (segnatamente i metodi “tantrici” nella tradizione indù), uno dei mezzi d’acquisizione della conoscenza iniziatica effettiva.

martedì 13 settembre 2016

Notarella sul Logos

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/noterella-sul-logos/

Il Logos delle scienze ermetiche

La <<questione>> del Logos mi attanaglia da diverse lune. Non è, questa nota, un tentativo di comprensione del Logos in senso filologico, non lo vuole essere neanche in senso filosofico ampio.

Il mio interrogarmi è sul senso e significato del Logos nelle Scienze Ermetiche; inquisire il Logos significa anche arrivare ad occuparsi di Massoneria e del Grande Architetto dell’Universo, di quanto è demiurgico e di quanto è legato alla parola Ergon ed al lavoro dell’artigiano. Affronterò questo argomento in altra sede.

Al Logos, nelle Scienze Ermetiche, non si può non assegnare la qualità di principio creazionale. Questo principio non dovrebbe essere letto come principio razionale, ma, come, principio ordinatore, come il principio portare di ordine. Il Logos è il disvelamento dell’Essere nel Mondo Universo. Questo disvelamento, che più avanti vedremo meglio, non da tutti è colto e per coglierlo bisogna essere nel silenzio. Attraverso il disvelamento è la manifestazione dell’Essere, nel disvelamento la possibilità dell’esserci di comprendere e quindi tornare all’Essere. Attributi del Logos sono: Il verbo come discorso che diviene Logos teleios (Discorso perfetto) quando Ermete parla per dell’Amore/Eros nel Libro Sacro dedicato ad Asclepio.  La Forza, intesa come principio vitale e indispensabile alla crescita. La forza che è insita nelle parole ed estinta nei termini.  Il Pensiero, che è sia quello razionale che quello pre o post razionale, la capacità dell’esserci di cogliere con la mente le idee astratte e le leggi della natura. L’Azione, senza azione non vi sarebbe né manifestazione né disvelamento, ma l’Essere resterebbe inconoscibile nella sua silenziosa immobilità. Il Mito per sua natura è così intimamente connesso al Verbo da potersi in alcuni casi identificare con questo. Mentre il Verbo, può essere suono non articolato in lettera e quindi in parola, il Mito è la narrazione del disvelamento dell’Essere.

Il disvelamento che è la creazione avviene per mezzo del Logos. L’agire del Logos, che chiama a sé Hermes mediatore, è quanto può essere compreso dall’esserci. In un gioco di specchi, perché siamo sempre nel labirinto, gli attributi del Logos sono strumenti dell’esserci. Il Simbolo ed il Legein sono le possibilità dell’esserci di lavorare (Ergon), di provare a ripercorrere il filo di Arianna ed uscire dal labirinto degli specchi e trovarsi innanzi alla Luce dell’Amore.

Dal Logos al Simbolo e viceversa, ma il ritorno al Logos per sua natura è complesso. Argo dai cento occhi è custode di Io, Hermes prima lo addormenta e poi lo uccide per liberare Io così come gli è stato chiesto da Zeus. Così l’esserci deve uccidere le sue proprie sovrastrutture, quelle parti che come Argo non hanno mai tutti gli occhi chiusi, per poter liberare il proprio Io che in realtà è il Sé della moderna psicanalisi.

Mi rendo conto della possibile poca chiarezza di questa nota, spero l’immagine renda meglio delle parole. Il Logos e quanto è ad esso connesso sarà un argomento sul quale tornerò a più riprese nei prossimi articoli. Vi saluto con l’incipit del III libro del Corpus hermeticum: <<Discorso Sacro>> di Ermete:

Gloria di tutte le cose è Dio e il divino, e la natura è divina. Principio degli esseri è Dio, e intelletto, e natura, e materia, essendo sapienza per la rivelazione di tutte le cose. Principio è il divino, e natura, energia, necessità, fine e rinnovamento.

Gioia – Salute – Prosperità

sabato 10 settembre 2016

Presentazione Vimana e le Guerre degli DEI - Enrico Baccarini

Sabato 15 ottobre dalle ore 20:30 alle ore 22:00
La Dimora del Libro, piazza de Cavalieri, 6 - cap 61030 -Saltara (PU)

LO AVEVAMO PROMESSO - collaboratore di MISTERO,VOYAGER ,HISTORY CHANNEL , - finalmente dopo lunghe e interminabili attese ENRICO BACCARINI arriverà alla dimora per presentare uno dei suoi capolavori i VIMANA E LE GUERRE DEGLI DEI .

Enrico Baccarini è nato e vive a Firenze. Giornalista pubblicista, scrittore e documentarista, ha all attivo numerosi libri con un particolare interesse per ciò che è insolito e gli enigmi storici. Da oltre quindici anni tiene conferenze in Italia e all’estero e ha collaborato con i principali canali televisivi nazionali (RAI e MEDIASET) e stranieri (HISTORY Channel e NHK Japan). Ha compiuto studi universitari in psicologia clinica e sperimentale focalizzandosi in particolare nel campo antropologico culturale. Attualmente è responsabile della casa editrice ENIGMA Edizioni e dirige la rivista cartacea HERA.
Presenta Uno dei Suoi Libri migliori , I Vimana e le Guerre degli Dei.
Un mondo inesplorato, una viaggio oltre i confini della storia umana. Da oltre cinquemila anni India e Pakistan sembrano gelosamente custodire un passato dimenticato, un segreto racchiuso all’interno delle più antiche tradizioni che la storia umana conosca.

Il viaggio ha inizio da una civiltà estremamente evoluta ma caduta nell’oblio, una cultura che lasciò ai posteri una imponente quantità di testi trasmessi in forma orale e confluiti successivamente nell’induismo. Tradizioni in cui si parla di civiltà perdute, guerre combattute tra uomini e dei con tecnologie estremamente avanzate e macchine in grado di volare nell’aria e nello spazio denominate Vimana.

All’alba dei tempi, secondo gli antichi testi indiani, gli dei combatterono sulla Terra sanguinose guerre attraverso l’utilizzo di questi velivoli ed impiegando ‘armi divine’ capaci di distruggere interi popoli. Dietro i miti esiste sempre una realtà storica, questo libro penetra nella loro complessità per recuperarne elementi tangibili e concreti.

Dopo anni di studi ed indagini compiuti in diversi paesi, l’autore presenta la più accurata analisi mai effettuata su questi enigmi storici, scoprendo e recuperando antichissime tradizioni e svelando incredibili parallelismi con le più moderne scoperte scientifiche.

Ripercorrendo le tracce e gli studi condotti negli anni ’70 da David William Davenport, viene posta nuova luce sulle vicende che portarono alla distruzione della città di Mohenjo Daro (Pakistan) e alla scomparsa della civiltà Harappa legando la loro storia a rovine sommerse scoperte nell’Oceano Indiano e datate ad oltre 10.000 anni fa.

Affrontare questa ricerca ha condotto ad un lungo viaggio alle radici della storia umana, della sua essenza, a ricercare il luogo dove ebbe origine e dove la sua grandezza vide la più eccelsa fioritura.

Il volume ripercorre con taglio analitico e scientifico la riscoperta di remote tradizioni e dei loro contenuti estremamente avanzati presentando al lettore nuove evidenze che potrebbero condurre a riscrivere la storia stessa della nostra civiltà e a vedere con occhi diversi le origini della nostra specie.

Gli elementi necessari per comprendere questo enigma storico sono già a nostra disposizione, seguendo le parole di Marcel Proust forse “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi” per riscoprirle e comprenderle.

lunedì 5 settembre 2016

Due articoli sugli UFO da una rivista dagli anni '70


Sistemando la biblioteca di casa è spuntato un vecchio numero della rivista Historia con la copertina dedicata agli UFO. Complice una serie di traslochi era finita nel dimenticaio, ma era stata acquistata da un negozio di articoli usati proprio per gli articoli sugli UFO. Ho porevveduto alla scansione dei due articoli della rivista dedicato agli ufo che vi metto a disposizione. Buona lettura!

Il link da cui poter scaricare:

https://drive.google.com/file/d/0B9gAVKKaFP9cT0QyWmpOdW4tMlU/view?usp=sharing