sabato 29 aprile 2017

Guida alla Massoneria. Un viaggio nei misteri dell’iniziazione

Guida alla Massoneria
Un viaggio nei misteri dell’iniziazione
di Michele Leone
Odoya edizioni 2017
In libreria dal 20 Aprile, 384 pagine, 20 euro, collana Odoya Library






Michele Leone nel realizzare questa guida alla massoneria “3.0” ha unito esigenze differenti. La prima è quella di attualizzare un "fenomeno" che compie trecento anni proprio nel 2017 e l’altra quella di organizzare e descrivere nel dettaglio il suo background. Benché l’anniversario sia ghiotto: nel 1717 si costituisce la più importante Grande Loggia ovvero quella londinese, Leone critica l’influenza che questa ha oggi sulle massonerie europee, fino a chiedersi se l’immobilismo inglese non abbia "ucciso" lo spirito massone. Oltre a questo attacco frontale, l’autore si fa latore anche di una battaglia: l’ingresso delle donne a pieno titolo nella latomistica istituzione.
Ma Leone è prima di tutto un teorico in grado di spaziare tra mito e contemporaneità, rendendo nota non solo la storia della Massoneria, ma anche la sua protostoria. Partendo dal presupposto che capire a fondo la materia è proprio solo degli iniziati (“sarebbe come spiegare un bacio”) prova a fornire un filo di Arianna utile per tutti, anche per chi non ha intenzione di diventare Apprendista.
Bisogna quindi seguirlo nel doppio presupposto materiale e spirituale della Massoneria: da un lato traccia quindi le storie delle Corporazioni, Gilde e poi Logge di muratori e architetti, mentre dall’altro si addentra nella storia delle scuole iniziatiche perché, tra le tante cose che metterebbero d’accordo ogni massone c’è il fatto che la Massoneria sia eminentemente una scuola iniziatica.
L’ambizioso lavoro su simboli, riti e miti è puntellato da una foltissima messe di citazioni da Leon Battista Alberti , Apuleio, Umberto Eco, Le Goff, Jung, René Guénon, la Bibbia e tante altre fonti eccellenti. Se seguire simbologie e rituali a volte diventa ostico per il neofita, è invece veramente utile per capire il “fenomeno” in genere conoscere la narrazione alla base di tutti i credo delle logge, ovvero il mito di Hiram. Coloro ai quali non fosse familiare la storia dell’edificazione del tempio di Salomone e del semidivino architetto che introdusse la divisione tra Apprendisti, Compagni e Maestri — in grado di riconoscersi
tramite parole, toccamenti e segni — troveranno interessante il suo racconto in questo libro addirittura in differenti versioni. La narrazione della storia di Hiram è in questo caso completa di liaison con ritualità e simbologie ancora in uso.
Per quanto sempre al limite del “libro per iniziati”, il pregio della Guida alla Massoneria è quello di organizzare l’armamentario concettuale massone per la prima volta secondo un’ottica italiana.
Basti aggiungere la presenza nel volume di materiali utili quali il succoso capitolo “E se volessi diventare Massone?” e alcune costituzioni in appendice come quella legata a Federico II e si capisce come di una Guida alla Massoneria così aggiornata e completa ce ne fosse proprio bisogno.
Michele Leone dalla fine degli anni Novanta ha indirizzato le sue ricerche prevalentemente nell’ambito delle “scienze tradizionali”, con peculiare riferimento alla Tradizione Ermetica e alla Massoneria. È responsabile della collana “I Ritrovati” per Mondi Velati Editore. Collabora con alcune testate periodiche e per Delta, Rassegna di Cultura Massonica, per la quale è direttore del comitato di redazione. Numerose le sue pubblicazioni: Il linguaggio simbolico dell’esoterismo (2013, con M. Centini); Le Magie del Simbolo (2014, con G. Zosimo); Misteri Antichi e Moderni. Indagine sulle società segrete (2015), oltre alle curatele di volumi di Enrico Queto, Giovanni de Castro, Eugène Goblet d’Alviella e altri. www.micheleleone.it



mercoledì 26 aprile 2017

Templar order. Il cammino dei templari. La via verso la saggezza.

Dalla prefazione del libro:

Ringraziando dell’attenzione per aver iniziato a leggere questo libro, segnalo che il ricavato delle vendite verrà devoluto attraverso l’associazione Monegasca “Ordre des Templiers de Jerusalem” di cui sono Presidente e Socio Fondatore, in aiuto all’attività della Amade-Monaco, per aiutare i bambini. Per seguirne le attività è possibile consultare la pagina www.facebook.com/ordredutemplemonaco oppure il nostro web-site: www.cavalieri-templari.com; è possibile anche consultare il video di presentazione della ONG sulla web tv: http://www.canaleeuropa.tv/fr/primo-piano/templari-a-monaco.html
Il Priorato di Monaco ha inoltre lanciato l’iniziativa: «Templari al lavoro per la vita».
PRESENTAZIONE dell’azione umanitaria:
L’associazione “Ordre des Templiers de Jerusalem”, Gran Priorato del Principato di monaco, autorizzato dal Governo, iscritto all’Ecosoc delle nazioni unite n° 646768, è un Ordine ecumenico, avente tra i suoi scopi la creazione di un’azione coordinata in favore della fratellanza tra gli uomini ed i popoli.
Il Gran Priorato ha istituito un programma di collaborazione/cooperazione per il restauro di edifici rurali dismessi con congiunta attività agricola.
Questi interventi saranno atti all’accoglienza ed alla vita in comunità agricole, a sostegno delle persone indigenti o bisognose. Con questo programma si creeranno numerosi posti di lavoro per i giovani formatori, si riqualificheranno strutture dismesse creando social co-housing e verranno create delle cooperative sociali di produzione agricola con prodotti a chilometro zero.
Dei corsi scolastici, inoltre, sensibilizzeranno ad una alimentazione intelligente.

Tutti le persone e gli enti interessati sono invitati alla coesione.
I templari, come allora, adesso. Che dire di più.

mercoledì 19 aprile 2017

Alfitomanzia e mantica

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/alfitomanzia/

Alfitomanzia, Critomanzia e Mantica: una definizione

L’ Alfitomanzia è una delle discipline legate alle Arti Mantiche, già ma cosa è la mantica? La mantica può essere definita come l’Arte della divinazione. La divinazione con il suo sistema di relazione uomo – Mondo Universo è una pratica antichissima e si è evoluta nella storia in molteplici modi. Oggi possiamo enumerare oltre cento tipi di possibili tecniche divinatorie. Superando il dilemma se queste tecniche abbiano una qualche efficacia o siano pratiche da azzeccagarbugli, questione che rimando alle coscienze e credenze di ognuno, il loro studio e la loro conoscenza diventa indispensabile quando si voglia studiare il rapporto dell’uomo con il sacro ed affrontare i così detti esoterismi con gli strumenti dell’antropologia, della Storia delle Religioni e via dicendo. Della mantica parlava Platone, questa è la capacità “divinatrice” delle anime più elevate.

L’ Alfitomanzia è spesso associata ad altre pratiche come ad esempio Aleuromanzia (o Alveromanzia) o Critomanzia. Della Critomanzia abbiamo una definizione nel Nuovo Dizionario Scientifico Curioso Sacro-Profano di Pivati del 1746.

Critomanzia: Specie di divinazione, che consisteva nel- considerare la pasta o materia delle focacce, che si offrivano ne’ sacrifici, e la farina che si spargeva sulle vittime, che dovevano scannarsi; e perché si servivano sovente della farina d’orzo; in tali cerimonie superstiziose, così hanno chiamata questa specie di divinazione Critomanzia da κριθή, orzo, e da μαντεία, cioè divinazione.

Ora la definizione di Alfitomanzia con interessanti aneddoti annessi.

Alfitomanzia: Divinazione che si fa col pane d’orzo. Fino dai tempi più antichi si conosceva questa divinazione importante. I nostri padri, quando volevano in diversi accusati distinguere il colpevole ed ottenere da lui la confessione del suo delitto, facevano mangiare agl’imputati un pezzo di pan d’orzo. Colui che lo digeriva senza fatica era riconosciuto innocente, mentre il reo si palesava con un’indigestione. Egli è pure da questo uso, che era ricevuto dalle leggi canoniche, ed impiegato nelle prove del giudizio di Dio, che derivò questa imprecazione popolare: <<Se io t’inganno, voglio che questo pezzo di pane mi strozzi!>>. – Ecco come si procede a questa divinazione che serve del resto a scoprire ciò che un uomo ha di nascosto nel cuore: si prende pura farina di orzo; si impasta con latte e sale, senza mettervi lievito; si avvolge in una carta untuosa, e si fa cuocere sotto la cenere; si strofina poscia con foglie di verbena, si fa mangiare a colui da cui uno si crede ingannato, e che non lo digerisce se la presunzione è fondata. In tal guisa un amante può sapere se la fidanzata gli è fedele, ed una donna, se suo marito non gli fa delle perfidie. — Esisteva presso Lavinio, un bosco sacro ove si praticava l’alfitomanzia. Alcuni sacerdoti nutrivano in una caverna un serpente secondo alcuni, un drago, se si crede ad altri. In certi giorni dell’anno, si mandavano delle giovinette a portargli da mangiare; elle avevano gli occhi bendati e andavano alla grotta, tenendo in mano una focaccia fatta da loro, con mele e farina d’orzo. <<Il diavolo, dice Delrio, le conduceva per diretto cammino. Quella di cui il drago ricusava di mangiare la focaccia era riconosciuta non essere più Vergine>>.

Definizione presa da: Dizionario Infernale, edizione compendiata e tradotta da Francesco Piquè, Milano 1874

sabato 15 aprile 2017

Cerchi nel grano: effimeri e fugaci, eppure immortali

di Leonardo Dragoni

Con i suoi 68 esemplari, l’ultima stagione di cerchi nel grano (2016) è stata la più avara dell’ultimo trentennio.
Per coloro che non sapessero di cosa si tratta, i cerchi nel grano (alias pittogrammi, agroglifi, formazioni) sono aree di coltivazione (generalmente grano, ma anche mais, colza, erba) appiattite in modo tale da formare delle figure geometriche (non soltanto cerchi) pienamente apprezzabili solamente dall’alto.
Fino a non molti anni fa, questo fenomeno era considerato un mistero inspiegabile, l’enigma del secolo, la possibile e tangibile dimostrazione della presenza di intelligenze aliene.
Questo mistero è oggi in graduale declino, eppure sopravvive ancora a mille avversità, riproducendosi ogni volta in condizioni proibitive, come un lichene su Marte o un arbusto spontaneo tra gli interstizi dell’asfalto rovente.
Il mistero ha resistito quando il 16 Giugno del 1990 il gruppo ufologico francese “Comité Nord-Est des Groupes Ufologiques” (CNEGU), già presente nell’estate precedente a Cheesefoot Head col nome di Gruppo VECA,  aveva realizzato in Francia presso Verdes uno splendido cerchio con doppio anello, circondato da quattro piccoli satelliti perfettamente disposti a croce celtica. Per creare questo pittogramma era stato assunto un esperto di effetti speciali cinematografici, che a sua volta si era avvalso di due collaboratori. Ai tre era stato chiesto di concludere il complesso lavoro in breve tempo, senza lasciare tracce, alla presenza di un notaio e mentre venivano fotografati da un velivolo ad alta quota. L’incaricato entrò così nel campo insieme ai suoi due collaboratori, utilizzando le tramlines (solchi del passaggio dei mezzi agricoli), armato di un rullo da giardiniere, un picchetto, una corda. Il crop circle fu replicato, con le caratteristiche richieste, in una sola ora. Il resoconto di questo articolo sarebbe stato successivamente pubblicato nel Novembre 1990 sulla rivista “Science et Vie” col titolo “La folle storia dei cerchi nel grano”.  Splendide fotografie della creazione furono pubblicate anche da Robè sul sito del C.N.E.G.U.

Il mistero ha resistito alle dimostrazioni  fornite nel 1991 da due pensionati di Southampton (Douglas Bower e David Chorley), autori di molte di queste formazioni che apparivano nei campi inglesi da circa un decennio. Quando l’esperto nazionale Pat Delgado aveva visitato il crop circle realizzato da Bower e Chorley, aveva dichiarato: “Questa non può in nessun modo essere una bufala. È il miglior momento della mia ricerca”. Alcuni minuti dopo realizzò di essere stato raggirato e telefonò all’amico e collega Colin Andrews: ““Siamo stati tutti imbrogliati... Questa cosa distruggerà migliaia di vite”.
Per qualche giorno sembrò tutto finito. Invece no: giusto il tempo di incassare il colpo, metabolizzarlo,  e i believers serrarono i ranghi e tornarono alla carica, con l’intento di screditare  Bower e Chorley, facendoli apparire come due imbroglioni, che avevano interesse a squalificare e insabbiare l’autentico mistero dei cerchi nel grano.

Il mistero ha resistito anche alla “Crop Circle Making Competition” dell’anno successivo, organizzata da John Michell, Richard e John Adams, e Rupert Sheldrake, grazie anche al finanziamento della “Koestler Foundation” e della rivista tedesca “PM”, e alla co-sponsorizzazione del “The Guardian” e del “The Cereologist”. Lo scopo era proprio mettere un punto sulla possibilità che alcuni artisti dotati di mezzi di lavoro rudimentali, potessero (oppure no) realizzare simili opere.
Durante la notte dell’11 Luglio 1992, presso West Wycombe, nel Buckinghamshire, i concorrenti (da soli o in team), agirono sorvegliati e fotografati da un velivolo che sorvolava la zona. Nel campo di gara potevano accedere soltanto i circlemakers (artisti che realizzano le formazioni) e cinque giudici. Parteciparono, tra gli altri, Adrian Dexter e Jim Schnabel, che negli anni successivi sarebbero diventati circlemakers molto in voga. I risultati furono sorprendenti, e decretarono che era sufficiente un buon ingegno e una strumentazione dozzinale, per realizzare autentici capolavori in poche ore, durante la notte.
Eppure, neanche questa dimostrazione riuscì a incrinare le solide certezze degli ufologi e dei believers, secondo i quali i cerchi nel grano autentici presentavano delle peculiarità e delle alterazioni chimico-fisiche che le altre formazioni (quelle replicate dall’uomo) non potevano possedere. A dare nuova linfa ai credenti fu l’emergere di un gruppo di ricerca americano noto come “BLT” dalle iniziali dei suoi esponenti: Burke, Levengood, Talbott. Questo gruppo, finanziato anche da Laurence Rockefeller, e capitanato dal biofisico William C. Levengood, produsse negli anni Novanta una incredibile quantità di documenti e di report elaborati su molti campioni di grano prelevati in vari crop circles in giro per il mondo.
Si giunse al culmine della cosiddetta “fase scientifica” del fenomeno dei cerchi nel grano, quando nel 2001 fece scalpore la pubblicazione di un articolo a firma del fisico Eltjo H. Haselhoff, il quale propendeva per l’ipotesi del coinvolgimento di misteriose sfere di luce (una particolare tipologia di UFO) nel processo di creazione dei crop circles.
Sarebbe qui complicato approfondire in poche pagine tutta a documentazione scientifica e parascientifica prodotta in quegli anni dal BLT e da Haselhoff, insieme a tutte le altre ipotesi e teorie avanzate in ordine sparso da ufologi, ricercatori, neofiti e  appassionati del fenomeno. Tutto questo viene sviscerato e confutato in ogni dettaglio nel libro “Cerchi nel grano. Tesi e confutazione di un fenomeno discutibile” (YouCanPrint, 2017), da poco uscito in commercio.


Cartaceo: http://www.youcanprint.it/fiction/scienze-sociali-generale/cerchi-nel-grano-tesi-e-confutazione-di-un-fenomeno-discutibile-9788892651166.html ;
Epub e Pdf: http://www.youcanprint.it/fiction/fiction-fantasy-paranormale/cerchi-nel-grano-tesi-e-confutazione-di-un-fenomeno-discutibile-9788892653481.html
Mobi/Kindle: https://www.amazon.it/dp/B06XNM7MQC/
Diciamo però fin da subito che negli anni seguenti tutto l’impianto probatorio messo in piedi dal BLT e da Haselhoff venne smontato da una importante pubblicazione scientifica (“Balls of Light: The Questionable Science of Crop Circles”) apparsa nel 2005 sul Journal of Scientific Exploration. In questo documento, firmato dal ricercatore italiano Francesco Grassi e dai suoi colleghi Cocheo e Russo, si metteva in evidenza l’inconsistenza della letteratura scientifica sui crop circles fino a quel momento.

Negli anni successivi numerosi circlemakers diedero ulteriori e grandiose dimostrazioni della loro arte, spesso anche di fronte alle telecamere di alcune emittenti televisive.
Eppure attorno ai cerchi nel grano, ancora oggi aleggia un alone di mistero.
Solo pochi giorni fa è uscito sui media americani e in molti siti internet un articolo di Horace Drew, conosciuto da anni nella comunità dei cerchi come “Red Collie”, il quale sostiene che i cerchi nel grano siano dei messaggi da decifrare, lasciati da civiltà aliene e da viaggiatori dello spazio.
Non è però grazie alle bislacche teorie di ufologi imbonitori che questo mistero sopravvive ancora. I motivi per cui non ci si arrende all’evidenza son ben altri, e vanno ricercati nel fascino che queste creature sono in grado di suscitare negli spettatori,  nella potente seduzione che ingenerano tra gli astanti e nella platea. Chiunque si sia imbattuto di persona in un crop circle, è stato certamente pervaso da un senso di maestosità, di grandezza e di armonia trasmesso da quel disegno geometrico che viene percepito come qualcosa di vivo. Al suo cospetto si viene investiti da un senso di pace e di sacralità, al punto che si rifiuta una spiegazione profana e meramente razionale.
Questa è, del resto, l’essenza di un’opera d’arte.
Tanto più apprezzabile nella misura in cui è anonima ed effimera, nata ed impressa nella natura. E nella natura sarebbe destinata anche a morire, senza lasciare traccia di sé, se non fosse catturata dagli obiettivi delle macchine fotografiche dei passanti.


Leonardo Dragoni dirige il sito web cropfiles.it dedicato ai cerchi nel grano. Ha pubblicato numerosi articoli sul tema, oltre ai libri: Storia dei cerchi nel grano. Le origini (2013); Storia dei cerchi nel grano. Gli anni Novanta (2016); Cerchi nel grano. Tesi e confutazione di un fenomeno discutibile (2017).

mercoledì 12 aprile 2017

La Magia del Corallo, ovvero quando Gesù necessitava di un amuleto

di Andrea Romanazzi


Se facciamo un giro per castelli e musei marchigiani ci troveremo spesso di fronte a bellissimi dipinti rinascimentali a sfondo sacro che però sono caratterizzati dalla presenza di un curioso particolare: un amuleto in corallo.
Il più famoso di questi dipinti, noto con il nome di Madonna di Senigallia dall’ultimo luogo conosciuto di provenienza, si trova nel Palazzo Ducale di Urbino (Fig.1). Si tratta di un olio realizzato da Piero della Francesca tra il 1470 e il 1485. L’artista è stato una delle più emblematiche figure del Rinascimento italiano, e non sono pochi i misteri nascosti tra le sue tele.

Figura 1

Figura 2

Figura  2 - particolare
E’ sempre Piero della Francesca che dipinge ancora una volta l’amuleto di corallo al collo di Gesù nella  La Pala di Brera, o Pala Montefeltro,  oggi conservata nella Pinacoteca di Brera (Fig.2). Qui l’opera presenta  un Gesù bambino in una curiosissima posizione, ovvero addormentato sul suo grembo della Madre e al collo il rosso amuleto. Sembrerebbe un vezzo dell’artista, una sorta di sua curiosa “firma”, ma non è così.
Se infatti poniamo attenzione, già nello stesso palazzo ducale di Urbino troviamo molte altre tele con questo curioso particolare (Fig.3).

Figura 3
Ancora l’amuleto di corallo è presente nella pala d’altare realizzata da Andrea Mantegna nota come Madonna della Vittoria, oggi esposta al Louvre di Parigi. Qui, in una sorta di “tripudio di colori” in onore della cacciata, per quanto temporanea, dei francesi dall’Italia ad opera della Lega Santa guidata da Francesco II Gonzaga, troviamo, in bella mostra, pendente sul capo del Cristo, un enorme amuleto di corallo (Fig.4-5).
Figura 4
Figura 5
Meno conosciute sono invece la Madonna con Bambino di Jacopo Bellini e la Madonna del Solletico di Masacico (Fig.6), custodita all’interno della Galleria degli Uffizi di Firenze. In quest’ultima il corallo intorno al suo collo del bambino è spostato sulla spalla dello stesso nel tentativo del Cristo di districarsi per cercare di evitare le dita giocose della madre.
Figura 6
L’elenco di quadri e tavole riportanti questo curioso particolare potrebbe continuare, numerosi sono gli affreschi del XV e XVI secolo, specie di chiese di campagna, dove è facile trovare il bimbo Gesù che stringe tra le mani o indossa al collo un rametto di corallo. In altri casi  collane e cordoncini che legano un rametto di corallo sono messi in bella mostra al polso del divin bambino.
Pensiamo al trittico Madonna tra i santi Sebastiano e Rocco eseguito nel 1509 per la chiesa di San Silvestro e oggi visibile nel Museo Nazionale d'Abruzzo o alla Madonna col Bambino, attribuito a Silvestro dall’Aquila del XV secolo. Sempre abruzzese era il De Litio  che realizza per la chiesa di Sant’Agostino ad Atri, l’affresco della Madonna delle Grazie nel quale è presente Gesù ornato di una bella collana di coralli.
Interessante e degna di citazione è poi la Tavola, attribuita alla scuola di Fiorenzo di Lorenzo, che raffigura la Madonna del Libro. Qui la Vergine, fiera, tiene sulle gambe il Cristo che, guardandola, mostra al collo il prezioso amuleto.
Molti altri sono i nomi illustri che hanno raffigurato questi elementi superstiziosi nelle loro tele. Raffaello, propone, nella sua “Sacra Famiglia con agnello” (Fig.7), visibile nel Museo del Prado, a Madrid, un divin bimbo a cavallo di una pecora con tanto di amuleto apotropaico.

Figura 7
Il Pinturicchio rappresenta un  san Bernardino orante innanzi al Bambino con collanina e rametto di corallo al collo, mentre Cosmè Tura raffigura una Circoncisione addobbata da “festoni di corallo” (Fig.8).

Figura 8
Dall’estrema diffusione di questo curioso simbolo si può intuire  che, più che un “capriccio” personale di un artista dunque, l’amuleto di corallo sembra avere un significato ben preciso. Quale?
Ebbene, molti nel descrivere queste opere, trattano davvero sbrigativamente il particolare dell’amuleto, rappresentazione metaforica del sangue del Cristo e della funzione salvifica.
In realtà forse dietro a tale simbolo si nasconde qualcosa di molto più semplice ma ovviamente che meno si addice all’immagine “cristiana” insita nell’opera: la magia popolare rinascimentale.
L’uso di amuleti si perde nella notte dei tempi, il termine dal latino amoliri, “allontanare”, indica un oggetto che è sacro di per sé, poiché la natura stessa vi infonde le particolari virtù di cui è dotato. L’amuleto è dunque una tipica espressione della credenza religiosa animistica. Non è facile dare una vera e propria classificazione degli amuleti. Una prima e semplicistica suddivisione potrebbe ricollegarsi alla loro efficacia e alle virtù attribuitevi.
Potremmo così suddividere gli amuleti in quattro classi o gruppi:
- Amuleti atti a impedire o ad allontanare la manifestazione di particolari fenomeni naturali e a proteggere persone, cose o animali;
- Amuleti dalla virtù preventiva e curativa di alcune malattie;
- Amuleti protettivi contro i malefici indotti da streghe, demoni o altre entità nefaste;
- Amuleti utilizzati per proteggere i neonati e donne in gravidanza.
E’ proprio tra quest’ultimi che ritroviamo il corallo, il cui nome deriverebbe dal greco koraillon cioè "scheletro duro", o da kura-halos cioè "forma umana". Per altri deriverebbe  dall’ebraico goral, ovvero il nome dato alle pietre utilizzate per gli oracoli in Medioriente e dunque già di per sé legato all’elemento magico.
Fin dall’epoca preistorica il corallo rosso è stato considerato potente elemento apotropaico contro le negatività.  Per i greci il corallo nacque dal sangue  sgorgato dalla testa di Medusa recisa da Perseo che, cadendo in mare, si tramutò nel preziosissimo ramoscello acquatico. Era spesso utilizzato dalle donne allo scopo di favorire la produzione di latte, essendo tale materiale anche galattoforo. Collane tramate di corallo erano anche indossate dalle ragazzine in periodo puberale per favorire la regolarità del flusso mestruale. L’utilizzo più comune era però quello di proteggere i bambini dagli influssi negativi e dalle streghe. “E’ comune opinione che certe vecchie, che chiamiamo streghe, sugano il sangue de’ bambini, per ringiovanirsi quanto possono” (M. Ficino). Sul corallo venivano spesso incisi ghiande, pigne, melograni, rose, perline dette “zingarelli”, tutti simboli di fertilità che aumentavano il potere apotropaico dell’elemento. Nelle figure 9 e 10 possiamo vedere degli esempi in mostra al Museo di Tradizioni Popolari di Roma, che dimostra l’enorme diffusione sul territorio nazionale.
In realtà queste collanine avevano anche una funzione igienico-sanitaria, proteggevano infatti il bimbo dalle piaghe cutanee dovute all’eccessiva salivazione.
Il ricordo di questi amuleti, ben lunghi dallo scomparire con l’avvento della Nuova Religione, ricorre così anche in epoca rinascimentale nelle opere di vari pittori di scuole umbre e marchigiane.
La sua presenza nelle tele sacra, più che indicare il sacrificio del Cristo, è la rimembranza di un’utilizzo protettivo di cui, evidentemente, il Cristo, visto il suo futuro, avrebbe avuto bisogno.
Figura 9
Figura 10

sabato 8 aprile 2017

La ricerca delle origini nella cerca del Graal

di Vito Foschi

Un altro aspetto della cerca di Perceval è la ricerca delle proprie origini, un tema non in primo piano, ma presente nel racconto di Chrétien de Troyes. All’inizio del racconto troviamo l’eroe adolescente recluso nella Guasta Foresta dalla madre che vuole evitare di perderlo, come successo al marito e agli altri figli morti in battaglia perché cavalieri. La madre tiene il giovane all’oscuro del mondo per evitare che sia tentato dalla vita cavalleresca e perciò Perceval è all’oscuro delle proprie origini ignorando che padre e fratelli erano cavalieri. Addirittura il giovane ignora il proprio nome. Gli rivelerà il nome e le sue origini una sua cugina che incontrerà dopo il fallimento della prova nel Castello del Graal. Gli svelerà anche che il Re Pescatore è suo zio da parte di madre. Infine incontrerà un’eremita che completerà la sua formazione spirituale che si rivelerà essere un altro zio sempre da parte di madre. La ricerca del Graal permette a Perceval di scoprire le proprie origini e il proprio lignaggio e di poter succedere al trono del Re Pescatore. Lo Zio Eremita è un maestro per il giovane e il ritrovare la propria famiglia è anche un ritrovare i membri di una catena iniziatica a cui riallacciarsi. In questo senso Perceval è un predestinato o meglio ha le qualificazioni necessarie per essere iniziato, perché se non fosse partito dalla Guasta Foresta e affrontato le mille prove non sarebbe stato pronto ha ricevere gli insegnamenti dallo Zio Eremita e ovviamente non lo avrebbe neanche trovato.


mercoledì 5 aprile 2017

Elitario, nazionalista, occultista: il poeta portoghese era anche questo

tratto da Il Giornale del 1 febbraio 2017

di Brunello Natale De Cusatis

È indiscutibile come la maggioranza della critica italiana provi un certo imbarazzo, oggi come ieri, di fronte alle posizioni ideologiche destrorse di alcune grandi figure letterarie e artistiche del secolo scorso, le quali sono da questi stessi critici idolatrate finché araldi di un movimento estetico ricco e innovativo confinato nei limiti appunto della Letteratura e dell'Arte. È il caso, per intenderci, di un Pound, di un Marinetti.

Nel momento in cui, tuttavia, tali figure sconfinano nel territorio politico-ideologico sono immediatamente viste con malcelata diffidenza, tacciate di stravaganza o, peggio ancora, subiscono quella che Mario Bernardi Guardi ha definito un'«operazione di profilassi».

Ebbene, Pessoa, come Pound, Marinetti e tanti altri importanti esponenti del Novecento letterario e artistico, è stato vittima in Italia di una rimozione riguardo varie componenti della sua sconfinata e multiforme opera. Di quest'opera, e fino a una ventina d'anni fa, era stata divulgata esclusivamente qui da noi la parte legata alla creazione letteraria, tanto ortonima quanto eteronima. Venendo a essere trascurati per completo e, quindi, non divulgati con opportune traduzioni, altri suoi aspetti non meno importanti, in considerazione del fatto che il Pessoa poeta si compenetra nel Pessoa pensatore e viceversa. Il tutto con riferimento, in particolare, sia all'aspetto socio-politico che all'aspetto economico, senza dimenticare quello mitico-profetico, religioso ed esoterico.

Più o meno gli ultimi venticinque anni del mio percorso quarantennale di docente universitario li ho dedicati in massima parte a Fernando Pessoa, in termini tanto di ricerca e studio quanto di divulgazione, per il tramite di svariate pubblicazioni saggi, articoli, traduzioni e curatele e di corsi, conferenze e comunicazioni congressuali. Una scelta che mi ha riservato molte soddisfazioni e riconoscimenti, in Italia e all'estero. Non senza, tuttavia, disappunti e scontri verbali a distanza con alcuni colleghi lusitanisti italiani.

Nel dicembre del 1994, uscirono in contemporanea il volume Scritti di sociologia e teoria politica (Settimo Sigillo) e il numero 5 della rivista Futuro Presente, diretta da Alessandro Campi e la cui sezione monografica, da me curata così come il volume richiamato, era dedicata al Pessoa politico e, in parte, occultista. La Repubblica del 30 novembre, per il tramite dell'allora responsabile delle sue pagine culturali, Antonio Gnoli, ne diede l'anticipazione con grande risalto, titolando l'articolo «Pessoa destra e astri». Nell'occhiello si leggeva: «Astrologo, occultista, mistico ma soprattutto critico feroce della democrazia e del cristianesimo. Escono gli scritti politici del grande poeta portoghese e si apre un caso. Era fascista?». Tanto l'articolo quanto il titolo e l'occhiello rispecchiavano nella sostanza le coordinate essenziali del pensiero politico pessoano. Antonio Gnoli, critico e studioso di riconosciuta onestà intellettuale, d'immediato si rese conto di quanto importante fosse il contenuto delle bozze che gli erano state recapitate: disvelavano ai molti italiani interessati a Fernando Pessoa un nuovo, pur se scomodo, aspetto della sua pluripersonalità.

Numerose sarebbero state le recensioni, sia al volume (uscito nel 1995 anche in traduzione tedesca), sia al numero 5 di Futuro Presente, apparse su quotidiani, settimanali e riviste. Altrettanto numerose sarebbero state le reazioni registratesi tanto a destra quanto a sinistra, pur se in alcuni casi spropositate, quando eccessivamente di parte. Ciò rientra, purtroppo, in un costume tipico dell'intellettualità italiana, composta ancora oggi di fazioni, e al quale credo di essere estraneo, poiché non mi sento di condividere appieno alcun tipo d'ideologia codificata. Le ideologie, diceva Goffredo Parise, «hanno tempi molto brevi, ma poi scompaiono. Se per ideologia si intende una personale, individuale visione del mondo, dirò che ogni uomo ne ha una...». Considerazioni che Fernando Pessoa avrebbe di certo sottoscritto in pieno! Invero, quel che ci si dovrebbe attendere dagli addetti ai lavori non è la bassa politica accademica, non è la faziosità di parte, l'anatema, l'insulto, ma stili di pensiero ispirati a onestà intellettuale. Eppure, non mi sono mai illuso che gli intellettuali organici di gramsciana memoria si fossero qui da noi definitivamente eclissati!

Tant'è che il 3 dicembre del 1994, sempre su Repubblica, comparve un intervento polemico del lusitanista Silvano Peloso. Una reazione spropositata, la sua, come ebbi a riferire nella mia risposta del 6 dicembre ancora su Repubblica, poiché accompagnata da riferimenti all'attualità politica italiana che assolutamente nulla avevano a che fare con un'iniziativa editoriale. Il tutto espresso peraltro senza che Silvano Peloso avesse letto né il libro né la rivista, e viziato oltremodo da un equivoco: aver pensato e scritto che volessi classificare Pessoa come un pensatore fascista. Sempre in occasione di quella mia risposta su Repubblica così concludevo l'intervento (mi scuso per l'autocitazione!): «Per quanto sgradevole possa risultare ad alcuni studiosi italiani, non si può trascurare l'esistenza in Pessoa di un vero e proprio nucleo politico-ideologico, caratterizzato da accenti di dura critica alla democrazia, da un ferreo spirito elitario, da una serrata critica anti-borghese, da un tenace nazionalismo e da un'aperta simpatia per i regimi autoritari (il che non gli impedì, lui dapprima pagano e poi cristiano-gnostico, di essere anti-salazarista). Senza naturalmente considerare l'intreccio, a dir poco inquietante, tra sebastianismo e sidonismo, tra l'idea messianica del Quinto Impero e il mito politico-letterario del Super-Camões, tra monarchismo ed ermetismo politico. Elementi che configurano un pensiero politico sicuramente eccentrico e singolare, che ho sintetizzato con la categoria anarchismo di destra (spero che Peloso concordi sull'impossibilità di ridurre il termine destra a quello di fascismo). Può darsi che a Peloso tale categoria appaia inappropriata o fuorviante. Ne trovi un'altra se crede: la sostanza delle posizioni politiche di Pessoa non cambia, così come non cambia il delicato problema interpretativo che esse sollevano».

All'articolo di Silvano Peloso, e ancora una volta su Repubblica, avrebbe fatto seguito di lì a poco, il 24 dicembre, l'intervento nella querelle di Luciana Stegagno Picchio, con un articolo («Pessoa, il poeta degli equivoci») in cui, senza mai citare il mio nome e il titolo del libro da me curato, ricorreva all'anatema, organizzando tra le righe la mia pubblica fucilazione, peraltro con valutazioni discutibili riguardo le idee politiche di Pessoa. Con l'occasione, l'illustre e celebre lusitanista orchestrava anche la promozione di un libricino curato da un suo allievo, Ugo Serani, dal titolo Fernando Pessoa. Ultimatum (e altre esclamazioni) (Biblioteca del Vascello), messo in piedi alla bell'e meglio e viziato nella traduzione e nel commento da errori crassi, completamente privo di un apparato scientifico e con la quarta di copertina in cui si dà Pessoa come nato a Durban, in Sudafrica, allorquando anche i più sprovveduti sanno che lo scrittore portoghese nacque e morì a Lisbona.

Risultava ovvio che avevo toccato qualche nervo scoperto, spiazzando coloro i quali si arrogavano la pretesa di essere i depositari in Italia di Pessoa, gli unici autorizzati a tradurre, curare e interpretare l'opera del grande poeta e scrittore portoghese.

Per nulla condizionato o intimorito, non potevo di certo desistere, anche a rischio della mia carriera accademica, dal continuare quel che mi ero proposto: contribuire con tutte le mie forze e capacità a rimuovere il velo che per tanti anni in Italia era stato steso sul Pessoa cattivo e impubblicabile, traducendolo e proponendo un approccio alternativo alla sua personalità intellettuale, nella fattispecie al suo pensiero politico, ma non solo. Cosicché, supportato da un editore coraggioso, Antonio Pellicani, ho pubblicato un secondo volume di scritti di Pessoa, nel 1996, Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935, più un terzo e un quarto, entrambi nel 1997: le traduzioni, rispettivamente, dell'opera La vita plurale di Fernando Pessoa dello spagnolo Ángel Crespo (biografia da me riproposta, nel 2014, per la Bietti di Milano, in una nuova edizione ampiamente annottata) e quella dell'ode pessoana Alla memoria del PresidenteRe Sidónio Pais (con una nuova versione riveduta, data alle stampe nel 2010 dalle Edizioni dell'Urogallo di Perugia, e corredata di un mio saggio introduttivo), tra le più belle elegie mai scritte in lingua portoghese e dedicata al dittatore portoghese assassinato nel 1918. Infine, nel 2000, ho pubblicato il volume Fernando Pessoa. Economia & commercio impresa, monopolio, libertà (Ideazione Editrice), corredato, a mo' di postfazione, di un interessantissimo e illuminante saggio, L'«evoluzionismo commerciale» di Fernando Pessoa, del compianto Alfredo Margarido, scrittore, critico e accademico portoghese di fama, universalmente ritenuto uno dei massimi esperti di Pessoa, in particolare quanto al versante socio-politico ed economico della sua opera. Il volume, riproposto nel 2011 in una nuova versione riveduta (Edizioni dell'Urogallo), raccoglie tutti gli scritti da Pessoa dedicati all'economia, al commercio, all'industria, all'editoria e alla pubblicità.

Anche questi ultimi miei lavori hanno suscitato curiosità e interesse, con numerosissime recensioni e praticamente con due unici commenti negativi, entrambi espressi da Antonio Tabucchi in altrettanti articoli apparsi sul Corriere della Sera. Il primo, «Pessoa schiavo delle stelle. Fuga nell'occultismo per dimenticare Salazar» (luglio del 1997), era volto a recensire il volume Pagine esoteriche di Pessoa (Adelphi), curato da Silvano Peloso; ma un articolo nel quale, con l'occasione, a mo' di contraltare, l'illustre scrittore e lusitanista Tabucchi discettava al negativo del mio Politica e profezia, definendo il volume in cui ho raccolto, tradotto e commentato, tra appunti e frammenti di Pessoa, centoventinove testi una «manciata di pagine»; quando in realtà, con questo volume e con i restanti due già citati, Scritti di sociologia e teoria politica (1994) ed Economia & commercio (2000), avevo messo per la prima volta a disposizione del lettore italiano la traduzione integrale di oltre centottanta scritti pessoani, per un totale, fra i tre volumi, inclusi i vari apparati, di ottocentocinquanta pagine. Con il secondo articolo, «Pessoa. Un poeta contro il dittatore Salazar», apparso a fine maggio del 2001, Antonio Tabucchi, dall'alto della sua baronia accademica, sostanzialmente si era proposto di stroncare la mia carriera universitaria, sferrando alla mia persona, ai miei lavori e ai miei commenti sul pensiero pessoano un attacco più vicino al linciaggio che al dibattito culturale! Un'operazione talmente infelice e inelegante (semplici eufemismi!) da scandalizzare all'epoca un po' tutti, da destra a sinistra.

Voglio sperare che non si colga in questa mia succinta disamina sul caso Pessoa in Italia uno sfogo dettato da bassi risentimenti personali. Quando in realtà ho solo voluto rimarcare, in senso generale, come sia preferibile, per chi è particolarmente interessato a un determinato autore, acquisire più notizie possibili sulla sua opera e il suo pensiero, così da evitare il grave rischio di avere (o dare) di lui un'immagine parziale, distorta, in qualche modo fuorviante per una sua vera e totale comprensione. Ed emblematici in tal senso sono proprio l'opera e il pensiero di Fernando Pessoa, vista la non sempre possibile separazione del poeta dal teorico-politico, dal sociologo, dall'occultista e dallo scrittore interessato all'economia e al commercio.

Alla fine, ognuno, dopo aver rimosso quella pregiudiziale che vuole che nella cultura, così come nella politica, i buoni stiano tutti da una parte ed i cattivi tutti dall'altra, sarà libero di scegliere il Pessoa che più gli aggrada. E questo, in virtù del fatto che non necessariamente l'artista che si occupa di politica si porta dietro la grandezza letteraria, né chi è interessato al Pessoa poeta deve obbligatoriamente condividere anche la sua posizione ideologica o i suoi ideali.